Pensieri sparsi sull’enciclica “Fratelli tutti”

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P. Giulio Albanese mccj

P. Giulio Albanese mccj

Il testo dell’enciclica Fratelli Tutti è profetico e di grandissima attualità. Fin dalle prime battute si evince una lettura attenta dei segni dei tempi[1], perfettamente in linea con il metodo ermeneutico proposto dal Concilio. Da parte del pontefice vi è la straordinaria capacità di sapere rendere intelligibili le grandi sfide del nostro tempo alla luce della Parola di Dio, perfettamente in linea con il magistero dei suoi predecessori.

Peraltro, leggendo la Fratelli Tutti si coglie un forte legame con l’enciclica programmatica del pontificato di Paolo VI, Ecclesiam Suam. Infatti, anche la Fratelli Tutti è aperta ad un dialogo a trecentosessanta grandi per affermare una fratellanza universale. «In una società pluralista – scrive papa Francesco –  il dialogo è la via più adatta per arrivare a riconoscere ciò che dev’essere sempre affermato e rispettato, e che va oltre il consenso occasionale»[2].

Da rilevare che l’enciclica di papa Bergoglio disvela in dissolvenza la teologia del Regno, andando oltre i confini della realtà ecclesiale e affermando i valori della pace, della giustizia, della condivisione, della solidarietà, della difesa dell’ambiente…  Se da una parte è vero che il vocabolo Regno in quanto tale compare solo in calce nella nota 138, la Fratelli Tutti è una summa teologica sul Regno.  Ma non in modo astratto! L’enciclica esige da parte di qualsivoglia lettore una decisa assunzione di responsabilità, sia sul piano individuale che collettivo, di fronte a nuove tendenze ed esigenze che si profilano nel quotidiano ma anche sulla scena internazionale. Bisogna pertanto passare dalle parole ai fatti.

Il ruolo effettivo della fraternità, così come viene espresso nel testo da papa Francesco, è dirompente poiché, come ha commentato il cardinale Pietro Parolin, «si lega a concetti nuovi che sostituiscono la pace con gli operatori di pace, lo sviluppo con i cooperanti, il rispetto dei diritti con l’attenzione alle esigenze di ogni prossimo, sia esso persona, popolo o comunità»[3].

Importantissimo è il risalto che papa Francesco dà ai leader religiosi e alle differenti tradizioni religiose, per promuovere un mondo più fraterno e per creare un’amicizia sociale che dovrebbe aiutarci a comprendere che siamo tutti sulla stessa barca. È evidente che questa enciclica è un antidoto contro i totalitasmi dilaganti, i biechi sovranismi, regionalismi e nazionalismi oggi molto di moda. Un indirizzo che trova il suo fondamento laddove il pontefice scrive: «Non posso ridurre la mia vita alla relazione con un piccolo gruppo e nemmeno alla mia famiglia, perché è impossibile capire me stesso senza un tessuto più ampio di relazioni: non solo quello attuale ma anche quello che mi precede e che è andato configurandomi nel corso della mia vita»[4]

Papa Francesco è sì uno straordinario leader spirituale, ma è anche un grande politico nell’accezione più nobile della parola, perché ha a cuore la Res publica dei popoli, il bene comune dell’umanità. Motivo per cui questo testo magisteriale dovrebbe essere letto e studiato da credenti e non credenti, perché svela esplicitamente il disegno di Dio:  fare dell’umanità un’intera ed unica famiglia. Ed è proprio questo l’indirizzo che Bergoglio ha impresso al suo pontificato, un orientamento che esige una decisa assunzione di responsabilità da parte di ogni comunità cristiana. Ecco che allora, prima di «andare» (Chiesa in uscita) «in periferia» (locus per eccellenza della Missione) ed essere così «a fianco dei poveri», occorre comprendere, con il cuore e con la mente, che la missione evangelizzatrice non può prescindere dalla fraternità. Essa rappresenta la condicio sine qua non per vivere la missione secondo lo spirito del Vangelo.

Già nell’Evangelii Gaudium il vescovo di Roma, all’inizio del suo ministero petrino, affermava: «L’intimità della Chiesa con Gesù è un’intimità itinerante, e la comunione si configura essenzialmente come comunione missionaria. Fedele al modello del Maestro, è vitale che oggi la Chiesa esca ad annunciare il Vangelo a tutti, in tutti i luoghi, in tutte le occasioni, senza indugio, senza repulsioni e senza paura. La gioia del Vangelo è per tutto il popolo, non può escludere nessuno»[5]. Da rilevare che il pensiero di papa Francesco è in linea con quello dell’episcopato  italiano che già negli anni ‘80 affermava: «La missione non è opera di navigatori solitari: la comunione è la prima forma della missione».[6]

È la stessa etimologia della parola italiana «comunione» che ci aiuta a comprendere il legame di questo vocabolo con la missione evangelizzatrice. Comunione deriva dal latino commune; si tratta di un vocabolo composto dal prefisso cum e da un derivato di munus (incarico, compito, missione…) per cui commune vuol dire letteralmente «che svolge il suo compito insieme con altri»[7]. Da questa radice deriva, nella nostra lingua, una lunga serie di termini (ad esempio, comune, comunità, comunanza, comunicazione…), tra cui appunto «comunione», che indicano complessivamente la dimensione del rendere partecipi più soggetti tra loro per conseguire un obiettivo che è appunto la missione. Ne consegue che tutta la Chiesa, in quanto «mistero di comunione»[8], è inviata per realizzare il Mandatum Novum affidatole dal Signore Risorto. Che tutta la Chiesa sia inviata, vuol dire che, in forza del dono dello Spirito, non c’è nessun battezzato in essa che possa ritenersi estraneo al compito di evangelizzare: è questa la cattolicità del soggetto missionario e dunque la dimensione comunionale della sua vocazione.

Rimane il fatto che quando parliamo di comunione siamo istintivamente portati a pensare che si tratti di una fraternità ad intra, tra coloro che condividono il battesimo e sono chiamati insieme, proprio come accadde ai discepoli di Emmaus, ad ascoltare la Parola e a spezzare il Pane nel Suo nome.

In effetti, l’indirizzo di papa Francesco nella Fratelli Tutti è molto più estensivo. Richiamandosi alla testimonianza del Poverello d’Assisi, egli ci ha ricordato che  San Francesco «non faceva la guerra dialettica imponendo dottrine, ma comunicava l’amore di Dio» ed «è stato un padre fecondo che ha suscitato il sogno di una società fraterna» (2-4). L’ Enciclica va ben oltre il recinto ecclesiale e mira a promuovere un’aspirazione mondiale alla fraternità e all’amicizia sociale.

Il punto di partenza è la comune appartenenza alla famiglia umana, dal riconoscerci fratelli e sorelle perché figli e figlie di un unico Creatore, tutti sulla stessa barca e dunque bisognosi di prendere coscienza che in un mondo globalizzato e interconnesso ci si può salvare solo insieme. Questa visione si spinge ben oltre il perimetro ecclesiale e risponde alla teologia del Regno di Dio. D’altronde, a pensarci bene, al centro dell’attività missionaria, che peraltro è connaturale alla Chiesa (senza missione – è bene ricordarlo – non c’è la Chiesa), si colloca proprio il Regno di Dio. E sebbene, come leggiamo nell’enciclica  di Giovanni Paolo II Redemptoris Missio, «non si possa disgiungere il Regno dalla Chiesa, certo, questa non è fine a se stessa, essendo ordinata al Regno di Dio, di cui è germe, segno e strumento»[9] . Cosa significa? Che il Regno è già presente nel mondo, anche fuori delle nostre comunità. Esso si manifesta nella presenza di Cristo nella Storia umana (che è anche la nostra Storia!)

L’enciclica evidentemente va letta e riletta e rappresenta una sorta di antidoto, una volta metabolizzata, per contrastare l’ideologia dello scarto e conseguentemente la globalizzazione dell’indifferenza. Da questo punto di vista, teologicamente e filosoficamente parlando, papa Francesco dichiara esplicitamente la centralità delle relazioni umane per la creazione di un mondo migliore. Si evince dal sesto capitolo in poi dove emerge palesemente il concetto di vita come «arte dell’incontro» con tutti, perché «da tutti si può imparare qualcosa e nessuno è inutile»[10] (215). Il vero dialogo, infatti, è quello che permette di rispettare il punto di vista dell’altro, i suoi interessi legittimi e, soprattutto, la verità della dignità umana. Il relativismo, comunque, non è una soluzione – si legge sempre nell’enciclica – perché senza principî universali e norme morali che proibiscono il male intrinseco, le leggi diventano solo imposizioni arbitrarie[11]. In quest’ottica, un ruolo particolare spetta ai media che, senza sfruttare le debolezze umane o tirare fuori il peggio di noi, devono orientarsi all’incontro generoso e alla vicinanza agli ultimi, promuovendo la prossimità ed il senso di famiglia umana[12] (205). È evidente che la posta in gioco è alta: si tratta di sviluppare un’interiorità capace di prendersi cura dell’altro. «San Paolo – leggiamo nell’enciclica – menzionava un frutto dello Spirito Santo con la parola greca chrestotes (Gal  5,22), che esprime uno stato d’animo non aspro, rude, duro, ma benigno, soave, che sostiene e conforta. La persona che possiede questa qualità aiuta gli altri affinché la loro esistenza sia più sopportabile, soprattutto quando portano il peso dei loro problemi, delle urgenze e delle angosce. È un modo di trattare gli altri che si manifesta in diverse forme: come gentilezza nel tratto, come attenzione a non ferire con le parole o i gesti, come tentativo di alleviare il peso degli altri»[13]. Sovviene quanto diceva Aristotele il quale sosteneva senza mezzi termini che «Se qualsivoglia viandante decide di entrare in una città, pensando di poter fare a meno degli altri o è bestia o è Dio». E di Dio, nella sua concezione, dichiara «Forse Dio non è felice perché è monakos»[14]. Perché è solo. Evidentemente ad Aristotele mancava la teologia trinitaria!

È in questa prospettiva, davvero aperta all’incontro, andando per così dire al di là del pregiudizio, che è necessario leggere Fratelli Tutti. Motivo ispiratore dell’enciclica – è bene rammentarlo – è stato il Documento sulla fratellanza umana firmato da papa Francesco e dal Grande Imam di Al-Azhar nel febbraio 2019. A questo proposito Bergoglio scrive: «Le diverse religioni, a partire dal riconoscimento del valore di ogni persona umana come creatura chiamata ad essere figlio o figlia di Dio, offrono un prezioso apporto per la costruzione della fraternità e per la difesa della giustizia nella società»[15].

La fraternità è da promuovere non solo a parole, ma nei fatti. Fatti che si concretizzano nella «politica di cui c’è bisogno»[16], quella che si oppone alla corruzione, all’inefficienza, al cattivo uso del potere, alla mancanza di rispetto delle leggi[17]. È una politica incentrata sulla dignità della persona umana creata ad immagine e somiglianza di Dio e non sottomessa alla finanza perché «il mercato da solo non risolve tutto» e le «stragi» provocate dalle speculazioni finanziarie lo hanno dimostrato[18]. Una politica che, lontana dai populismi o sovranismi che dir si voglia, sappia trovare soluzioni a ciò che attenta contro i diritti umani fondamentali e che punti ad eliminare definitivamente ogni forma di esclusione sociale: inedia, pandemie, per non parlare dell’ignobile tratta di esseri umani. Di qui deriva la condanna che il pontefice fa della guerra, «negazione di tutti i diritti»[19] e non più pensabile neanche in una ipotetica forma «giusta»[20], perché ormai le armi nucleari, chimiche e biologiche hanno ricadute enormi sui civili innocenti.

Forte anche il rifiuto della pena di morte, definita «inammissibile»[21], e centrale il richiamo al perdono, connesso al concetto di memoria e di giustizia: perdonare non significa dimenticare, scrive il Pontefice, né rinunciare a difendere i propri diritti per custodire la propria dignità, dono di Dio. Piuttosto significa rinunciare alla forza distruttiva del male ed al desiderio di vendetta. Mai dimenticare «orrori» come la Shoah, i bombardamenti atomici a Hiroshima e Nagasaki, le persecuzioni ed i massacri etnici, esorta il Papa.

Essi vanno ricordati sempre, nuovamente, per non anestetizzarci e mantenere viva la fiamma della coscienza collettiva. Altrettanto importante è fare memoria del bene, di chi ha scelto il perdono e la fraternità[22]. Al contempo, papa Francesco sottolinea che un mondo più giusto si raggiunge promuovendo la pace, che non è soltanto assenza di guerra, ma una vera e propria opera «artigianale»[23] che coinvolge tutti. Proprio per queste ragioni, Bergoglio stigmatizza ogni genere di forma di aggressività, anche quella verbale o giornalistica[24], nella cristiana certezza che bisogna guardare agli altri come fratelli e sorelle per salvare il mondo! Questa è una verità che ogni cristiano, indipendentemente dal fatto che sia vescovo, presbitero, diacono o laico, deve avere sempre a mente!

Si tratta di un orizzonte più ampio di quello che abbiamo in mente quando parliamo di cristianità! Da rilevare che sullo sfondo dell’enciclica c’è la pandemia da Covid-19 che – rivela papa Francesco – «ha fatto irruzione in maniera inattesa proprio mentre stavo scrivendo questa lettera». Ma l’emergenza sanitaria globale è servita a dimostrare che non solo «nessuno si salva da solo», ma che soprattutto è giunta davvero l’ora di «sognare come un’unica umanità» in cui siamo «tutti fratelli»[25]. Un’antica storia mediorientale racconta di un viandante che incontrò un mostro nel deserto. Inizialmente il poveretto ebbe paura, ma riuscendo a scorgerlo più da vicino, s’accorse che era un uomo. Di lì a poco lo distinse ancora meglio e scoprì che dopo tutto non era così brutto come pensava. Alla fine quando lo scorse negli occhi, riconobbe suo fratello.


[1] FT 9-55

[2] FT 211

[3] https://www.vatican.va/roman_curia/secretariat_state/parolin/2020/documents/rc_seg-st_20201004_parolin-enciclica_it.html

[4] FT 89

[5] EG 23

[6] Cei, Comunione e comunità missionaria, 1986, 15.

[7] cfr. Gregorio Arena, Cittadini attivi, Editori Laterza, Bari 2006, pag. 88

[8] cfr. Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica su alcuni aspetti della Chiesa intesa come Comunione, Congregazione  per la Dottrina della Fede, Maggio 1992 https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_28051992_communionis-notio_it.html

[9] RM 18

[10] FT 215

[11] Cfr. FT 206

[12] Cfr. FT 205

[13] TF 223

[14] https://it.aleteia.org/2020/11/17/individualismo-cristianesimo-umberto-galimberti-corriere-della-sera/

[15] FT 271

[16] FT 177

[17] Cfr. FT ibidem

[18] Cfr. FT 168

[19] FT 257

[20] FT 258

[21] FT 263

[22] FT 246-252

[23] FT 217

[24] Cfr. TT 44-46

[25] FT 7-8

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