Riflessione sulla COP27
La COP27 di Sharm-el-Sheikh è stata sotto diversi aspetti una COP africana. C’è stata un’ampia partecipazione del continente, inclusiva di Stati, organismi regionali e una vibrante società civile. Soprattutto, ha posto al centro la questione della giustizia climatica: i paesi che meno hanno contribuito alla crisi climatica sono quelli che ne pagano il prezzo più alto. Bisogna far pagare il debito climatico, per non lasciar indietro nessuno.
Sono state due settimane di negoziati molto intensi ed estenuanti, che sono culminati in una decisione storica: l’istituzione di un fondo per il risarcimento delle perdite e danni dovuti ai cambiamenti climatici, dopo 30 anni di lotta politica. Ma è solo il preludio di una vera conquista. Non è stato trovato, infatti, l’accordo sulle regole di tale fondo: come finanziarlo, chi ha diritto al sostegno, a quali condizioni e l’entità di tali finanziamenti. Nella migliore delle ipotesi, si arriverà ad un accordo nel 2024, ma non è affatto scontato.
La delusione più grande è stata sul fronte della riduzione delle emissioni di gas climalteranti e dei finanziamenti per l’adattamento ai cambiamenti climatici. Nel 2021 a Glasgow ci si era arenati su questi punti, ma era passata la proposta di rialzare annualmente le ambizioni di riduzione delle emissioni e di aumentare i finanziamenti per l’adattamento, priorità per il Sud globale. Nessun progresso significativo è stato fatto su questi punti. L’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura media entro 1,5°C al di sopra dei livelli preindustriali – necessario per limitare danni che saranno comunque disastrosi a quel livello – ci sta rapidamente sfuggendo di mano.
Inoltre, la COP27 ha messo pericolosamente l’Africa sul sentiero dell’espansione dell’estrazione dei combustibili fossili. Dei 15 contratti sul gas firmati a Sharm-el-Sheikh, 8 riguardano paesi africani. Diversi politici africani rivendicano il diritto a una transizione equa e dunque a investimenti sull’estrazione di gas – ritenuto combustibile di transizione – per il fabbisogno energetico per lo sviluppo del continente. Anche in considerazione del fatto che le emissioni dell’Africa raggiungono solo 3,5% del totale globale e dunque riaffermando il principio di responsabilità comune ma differenziata. In realtà, la storia insegna che simili progetti estrattivi non beneficiano i popoli africani, ma i mercati europei, che ora cercano di superare la dipendenza dal gas russo. Inoltre si tratta di investimenti onerosi a lungo termine, con impatti immediati spesso devastanti su popolazioni locali e ambiente, mentre anche l’Africa necessita oggi di una transizione energetica.
Nell’insieme la COP27 ha mostrato la crisi attuale del multilateralismo. Nonostante gli sforzi e l’impegno nei negoziati, non ci si è minimamente avvicinati ai cambiamenti radicali che sono necessari, come dimostrano i rapporti scientifici dell’IPCC. Il principio del consenso è fondamentale perché una soluzione sostenibile richiede unità di intenti, partecipazione ed impegno da parte di tutti. Tuttavia, i progressi sono troppo piccoli e lenti per poter rispondere adeguatamente alla crisi climatica. Di fronte a crisi epocali, come quella del COVD19 ha mostrato, sono necessari interventi radicali, bisogna pensare ed agire in modo nuovo.
C’è allora bisogno di una forte pressione esterna al sistema dei negoziati. Alla COP27 la società civile ha perorato alcune proposte globali che creerebbero le condizioni per un cambio di passo nei negoziati:
- Un trattato per la non-proliferazione dei combustibili fossili, basato su tre punti: impedire la proliferazione di carbone, petrolio e gas ponendo fine a tutte le nuove esplorazioni e produzioni; eliminare gradualmente l’attuale produzione di combustibili fossili in linea con l’obiettivo climatico globale di 1,5°C; e accelerare soluzioni reali e una transizione equa per ogni lavoratore, comunità e paese. Ovviamente, bisogna eliminare subito le sovvenzioni ai combustibili fossili.
- L’introduzione del crimine di ecocidio nello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale: si tratta di atti illeciti o sconsiderati commessi con la consapevolezza che esiste una sostanziale probabilità che tali atti causino all’ambiente un danno grave e diffuso o a lungo termine.
- Il governo di Vanuatu sta guidando un gruppo di 18 Stati per presentare una risoluzione all’Assemblea generale delle Nazioni Unite per richiedere un parere consultivo alla Corte internazionale di giustizia sugli obblighi della comunità internazionale di salvaguardare i diritti umani e delle generazioni future in relazione ai cambiamenti climatici. Questo pronunciamento accelererebbe l’azione climatica.
- Coloro che hanno tratto profitto e contribuito maggiormente alla crisi climatica dovrebbero finanziare i risarcimenti per il clima. È tempo di far pagare alle multinazionali, alle banche e alle società di combustibili fossili i danni che hanno causato e di porre fine all’era degli enormi profitti senza tasse. A livello globale, solo 100 multinazionali sono responsabili del 70% di tutte le emissioni globali. Una campagna di pressione propone di tassare i super-profitti delle 50 maggiori multinazionali dei combustibili fossili. Si stima che quest’anno tali profitti – non i ricavi! – saranno nell’ordine di 250 miliardi di dollari. Una tassa del 20% finanzierebbe la metà dell’obiettivo di finanziamento del clima.
- Un nuovo modello di sviluppo: la sostenibilità del pianeta richiede una diminuzione della domanda di energia del 60% rispetto ai livelli attuali e una transizione giusta da un’economia estrattiva a un’economia della cura, circolare, basata su energie rinnovabili come beni comuni
fr Alberto Parise MCCJ – Delegato di VIVAT International alla COP27