Anna Moccia porta la sua testimonianza sull’animazione missionaria all’Assemblea Generale dell’Animazione Missionaria a Roma, il 23 aprile 2024. La sua riflessione elabora il ruolo dello Spirito nel guidare l’animazione missionaria e i risultati di tale processo, che ha portato ad alcune interessanti innovazioni in questo campo ministeriale. Le diapositive della presentazione si possono vedere qui.
Buongiorno a tutti,
innanzitutto sono molto contenta di essere qui perché porto la vostra famiglia nel cuore. Dopo essere stata in Africa nel 2016, ho conosciuto la famiglia comboniana e sono stata animatrice missionaria a Roma con il Gim – Giovani Impegno Missionario – e per due anni ho partecipato al campo estivo Verona – Limone, che trovo molto efficace per far appassionare i giovani alla missione e al carisma del Comboni e della Famiglia comboniana. Quindi è con gioia e gratitudine che mi trovo qui oggi a condividere con voi la mia testimonianza di servizio nel campo dell’animazione missionaria attraverso il progetto di Terra e Missione, dal momento che anche voi ne siete stati in un certo senso co-protagonisti.
Sono Anna Moccia, giornalista, dal 2020 dirigo la rivista missionaria online Terra e Missione, che dal 2022 è diventata anche un’associazione di promozione sociale, e lavoro per la Caritas diocesana di Roma, dove curo la parte di comunicazione, soprattutto la parte web, la newsletter, i diversi canali social e la grafica. Lo stesso impegno in Caritas lo vivo come una missione. Come ci ricorda spesso il vostro confratello, padre Giulio Albanese, “la comunicazione è missione” e potremmo dire che anche “la carità – intesa nella sua forma più alta – è missione”. Perché non basta l’aiuto materiale, c’è bisogno di presenza, del rapporto umano, della condivisione della sofferenza. In questo vedo molto il passaggio da una “missio ad gentes”, “alle genti” a una dimensione “inter gentes”, ad immergersi a fare “causa comune” con gli innumerevoli sofferenti del nostro mondo e quindi a riconoscere che l’annuncio del Vangelo avviene nella reciprocità della comunicazione, nel dialogo interculturale e interreligioso, nell’incontro con l’altro. Sono questi i valori aggiunti che rendono anche la carità una missione. Ed è questo aspetto della Caritas – del sostituire un approccio assistenziale con un’autentica promozione umana – che cerco di raccontare attraverso i diversi strumenti di comunicazione.
Tutto è interconnesso, il grido di madre Terra e il grido dei poveri fanno un unico grido. Il tempo della pandemia che abbiamo vissuto ci ha ricordato in modo forte e importante di questa reciprocità, mettendoci davanti a noi stessi, alle nostre fragilità e a quelle degli altri. E ora siamo chiamati a interrogarci, a capire come essere testimoni di carità e missionari in questo tempo nuovo e diverso. Possiamo dare al Covid non solo con un’accezione negativa ma vederlo anche come una possibilità per un momento di introspezione, di discernimento, per leggere i segni di tempi, e come un’opportunità per esplorare nuove strade e per adattare il nostro impegno missionario alle esigenze del tempo presente, per essere “sale della terra e luce del mondo”.
Una vocazione missionaria
Terra e Missione è il frutto di questo cammino di introspezione intrapreso proprio in tempo di pandemia ma anche di una vocazione missionaria, che a sua volta nasce proprio grazie alla comunicazione. Questo perché nel 2016 collaboravo per un giornale e mi chiesero di scrivere un articolo su alcuni ragazzi che organizzavano il Vol.Est., che sta per Volontariato Estivo, una proposta appunto di volontariato per i giovani del Centro Missionario di Porto-Santa Rufina, che avrebbero potuto fare un’esperienza di missione in Malawi o in Romania. Partecipando agli incontri, rimasi subito colpita dall’entusiasmo dei giovani ma anche da quello del direttore del centro missionario Don Federico Tartaglia, però a spingermi a partire furono anche una serie di circostanze concatenate perché poco prima, per conto di una Ong per cui lavoravo a quel tempo, ero stata in Ucraina, a Chernobyl, per il 30esimo anniversario dell’incidente nucleare, dove avevo portato una troupe di giornalisti per realizzare dei servizi televisivi. Al mio ritorno ero rimasta un po’ disillusa dal mondo del giornalismo, dove vedevo un’eccessiva semplificazione delle informazioni, a scapito dell’approfondimento, e anche una certa spettacolarizzazione della sofferenza. Tuttavia, il mio capo mi disse che avevo fatto un ottimo lavoro e mi diede anche un premio in denaro che era pari alla somma necessaria per il biglietto aereo per andare in Malawi. Fu così che decisi di partire e di andare nella missione dove don Federico era stavo inviato come fidei donum per 9 anni.
All’inizio ero partita con l’idea di fare un viaggio ma poi diciamo che per me è stato più un viaggio interiore, che ha cambiato anche il mio modo di fare giornalismo, della Verità che volevo raccontare. Infatti, credevo di andare in Africa per aiutare la comunità locale, per lasciare loro qualcosa, e invece mi sono ritrovata a spogliarmi di quei vestiti stretti che erano le mie convinzioni e le mie abitudini, la mia poca fede, per tornare all’importanza dell’essenziale. Questo anche grazie a un popolo che, al di là della sua povertà e delle proprie sofferenze quotidiane, era capace di gioire proprio perché metteva Dio al centro di tutto. E quindi erano felici anche di condividere quel poco che avevano con me.
Posso dire che l’Africa è stata al centro del mio incontro con il Signore è ancora oggi porto questa esperienza nel cuore.
Mi piace ricordare una frase del beato Carlo Acutis, che dice: “La conversione non è altro che lo spostare lo sguardo dal basso verso l’Alto, basta un semplice movimento degli occhi”. Per me è stato questo mutamento di sguardo, dalla mia vita e dal mio egoismo (a quell’epoca tra l’altro lavoravo anche in discoteca), fino invece a considerarmi parte di una realtà più grande per la quale sentivo e sento tutt’ora l’esigenza di compromettermi. Questo cammino ho potuto farlo grazie a un incontro, in questo caso con Don Federico e con i ragazzi del VolEst, perché poi il Signore non ci parla soltanto nell’intimità del cuore ma anche attraverso la voce e la testimonianza dei fratelli, ma è un percorso che non si è arrestato lì perché io stessa, una volta tornata in Italia, ho voluto mettermi in gioco nell’animazione missionaria, perché volevo che altri ragazzi potessero vivere la mia stessa esperienza di incontro con il Signore e per tre anni ho collaborato prima con la diocesi e poi con la famiglia comboniana. Ho iniziato occupandomi del VolEst, organizzando io stessa gli eventi formativi per i partenti, e sono stata più volte in Malawi e poi, come dicevo, ho aiutato la famiglia comboniana con il Gim, riprendendo insieme a fr. Marco il percorso formativo di Roma, che si è tenuto in questa casa per due anni, ed ho partecipato al campo Verona-Limone per due volte, la prima come giovane e l’altra come membro dell’equipe.
In questo mi ha facilitato molto anche il mio bagaglio pregresso. Infatti, credo che il Signore quando ci chiama non butta nulla di quello che siamo stati in passato ma ci coinvolge in una nuova avventura in cui ci sono tutti gli ingredienti da utilizzare e bisogna mettersi in gioco e non tenerli per sé, anche con il rischio e la paura di fallire, perché magari intraprendiamo delle nuove strade rispetto a quelle che esistono già.
La nascita di Terra e Missione
Nel 2020 è sopraggiunta la pandemia, quindi c’era l’impossibilità di incontrare i ragazzi e anche di partire per la missione, e da lì è nata l’idea, con due mie amiche, di aprire un blog che poi si è trasformato nella rivista Terra e Missione.
L’intento iniziale, dato che eravamo proprio nella fase più dura del Covid-19, che era quella del lockdown, era quella un po’ di raccontare quello che facevano i missionari in quel periodo così difficile nelle diverse periferie del mondo. Allo stesso tempo, volevamo anche portare loro una parola di speranza, un incoraggiamento a proseguire in questa loro missione e non farli sentire soli.
Dopo la pandemia il giornale si è sviluppato rapidamente con le sezioni attuali fino a diventare anche un’associazione di promozione sociale, che si muove attorno a tre assi principali: il giornalismo di pace, che realizziamo attraverso la rivista terraemissione.it; l’ecologia integrale, che portiamo avanti attraverso diverse iniziative di formazione e di comunicazione, come il corso di formazione ecologica per giornalisti “Custodi del giardino”, che si svolge presso la Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione Auxilium; il terzo asse è la cooperazione missionaria: ci sono circa 20 istituti in rete con Terra e Missione che in questo modo possono più facilmente promuovere le proprie iniziative, collaborare ai progetti di Terra e Missione e anche collaborare tra loro.
Diciamo che tutto è venuto in modo molto spontaneo: avevo questo blog missionario e mi dissero che per legge non avrei potuto pubblicare articoli quotidianamente perché non ero un giornale; da lì Terra e Missione è divenuta una rivista registrata in tribunale; poi ci dissero che una rivista doveva avere un editore e da lì è nata l’associazione. Quindi è stata più una serie di ostacoli che abbiamo dovuto superare però direi che ce la siamo cavata alla grande.
Devo dire che, insieme alla componente vocazionale, e quindi all’attenzione per i giovani, le nostre attività si concentrano soprattutto sulla parte di cooperazione, di servizio che vogliamo rendere alle diverse congregazioni, quindi sono loro/siete voi i principali destinatari dell’animazione missionaria di Terra e Missione. Questo per contribuire a ravvivare l’ardore missionario delle diverse famiglie e riprendere insieme, con nuovo slancio nuovo, la corresponsabilità nell’annuncio del Vangelo. Per questo cerchiamo il più possibile di realizzare iniziative dove i diversi istituti ad gentes, maschili e femminili, sono invitati a collaborare e a fare rete tra loro.
Lo stesso Comboni aveva in effetti questo grande senso di cattolicità, sognando di coinvolgere tutti nell’opera per la Rigenerazione dell’Africa. E infatti scriveva così: “L’Opera deve essere cattolica, e non spagnola o francese, tedesca o italiana”. Per l’evangelizzazione contava realmente sulla piena collaborazione di tutte le forze missionarie allora esistenti.
Lo stesso Comboni poi rivolse un’attenzione tutta particolare all’importanza e all’efficacia dei mezzi di comunicazione sociale del suo tempo, italiani e stranieri, per metterli a servizio del suo ideale missionario.
Una rivista missionaria
La rivista Terra e Missione punta a un altro tipo di informazione, un po’ marginale perché non vive di gossip ma racconta il mondo mettendosi dalla parte di chi non ha diritto di parola o non viene ascoltato, dei più poveri. Non in un’ottica di spettacolarizzazione della sofferenza, per guadagnare qualche visita in più sul sito o qualche like, ma piuttosto per portare speranza, raccontare anche la cultura della pace e non della guerra. E vediamo come in questo periodo ce n’è un gran bisogno: pensiamo alla guerra che sta insanguinando l’Europa orientale o alla crisi israelo-palestinese, per non parlare poi delle tante guerre dimenticate.
Apro una parentesi: io sono un’amante della carta stampata, non leggo gli e-book ma libri di carta, soprattutto per una scelta sensoriale: mi piace sottolineare una frase o scrivere delle note. Però ho scelto volutamente di realizzare una rivista totalmente online perché, se guardiamo ai giovani, oggi raramente leggono la carta stampata, si informano soprattutto online, ormai il tg non lo guardano più e, anzi, l’informazione passa soprattutto sui social. Quindi stiamo puntando di più su queste nuove strade.
Come le altre riviste missionarie, anche noi ci occupiamo di dare voce a chi non ha voce, di aprire delle finestre sulle periferie del mondo che rimangono sempre più ai margini dell’informazione. Ma la missione della rivista è soprattutto raccontare il bene, quanto viene fatto nelle diverse periferie del mondo, anche grazie agli istituti missionari. In questo dico sempre che Terra e Missione non è uno spazio nostro ma al servizio dei missionari.
Tuttavia, riteniamo molto importante, anzi prioritario, l’aspetto della spiritualità. Anche perché, mentre quando si va alla ricerca della notizia poi il giorno dopo viene già soppiantata da un’altra notizia… e quindi anche nel mondo del giornalismo c’è una certa “cultura dello scarto”, frutto della mentalità usa e getta… dunque per noi è più importante seminare una notizia che rimanga, che è quella del Vangelo. Per questo motivo, tutti gli istituti della rete si dedicano a turno al commento del Vangelo della domenica e poi abbiamo una rubrica dedicata alla “Parola missionaria del mese”, anche questa curata in alternanza dalle diverse congregazioni. Inoltre, una delle sezioni a cui tengo di più della rivista è “Voci dai monasteri”, dedicata alla vita contemplativa, uno spazio ideato per dare voce ai diversi monasteri. Ho sempre visto un forte legame tra missione e contemplazione, non a caso Santa Teresa di Gesù Bambino, Teresa di Lisieux, è la Patrona delle missioni senza aver mai messo piede fuori dal suo monastero. Ed è bellissima l’affermazione di Giovanni Paolo II, che troviamo a conclusione della lettera Redemptoris missio, quando dice che «Il missionario deve essere “un contemplativo in azione”».
È proprio questo l’aspetto che più mi ha colpito della vita missionaria: il missionario non è un cooperante di una ong, deve essere egli stesso uomo di impegno e di profezia, ma anche un uomo di silenzio e di preghiera. Perché tutto nasce alla luce della parola di Dio e nella preghiera. Mi vengono in mente le immagini di due missionari pensando a questo: uno è padre Gigi Maccalli, missionario SMA, che nel periodo di prigionia durante il suo rapimento in Niger, pensando proprio a Teresa di Lisieux, ha potuto trovare conforto nella preghiera realizzando un piccolo rosario di corda; l’altro è padre Augusto Gianola del Pime, che negli ultimi anni della sua missione in Amazzonia aveva costruito una capanna nel cuore della foresta per dare spazio a questa sua dimensione più contemplativa. E c’è anche un bellissimo libro della Emi, che purtroppo non si trova più ma che varrebbe veramente la pena di ripubblicare, scritto da padre Pietro Gheddo del Pime, che racconta di questo suo tormentato cammino verso la santità, una bellissima testimonianza di vita missionaria, che poi ha ispirato anche il film “Un giorno devi andare”, ambientato in Amazzonia, in cui la protagonista, che si chiama Augusta, è la bravissima attrice italiana Jasmine Trinca.
Tra l’altro, questo è anche l’anno dedicato alla preghiera, in preparazione al Giubileo del 2025, quindi varrebbe la pena soffermarsi un po’ di più su questo aspetto, cercando di promuovere il più possibile la centralità della preghiera nella vita individuale e comunitaria. Insieme a sr Maria Rosa Venturelli, che in tutto questo tempo è stata al mio fianco ed è tutt’ora membro del consiglio direttivo di Terra e Missione, quest’anno stiamo organizzando per il mese di novembre un itinerario in presenza di “Voci dai monasteri”, che ci porterà a conoscere più da vicino l’importanza della dimensione contemplativa facendo esperienza concreta in alcuni monasteri che sono qui a Roma.
Il continente digitale, nuova frontiera missionaria
Pur amando questa dimensione contemplativa, Terra e Missione è anche al passo con i tempi. Infatti, come già detto in precedenza, uno degli aspetti che ci preme di più è quello vocazionale, a 360 gradi, cioè aiutare i giovani a capire qual è il loro posto nel mondo, e per questo utilizziamo tutti gli strumenti che oggi sono a disposizione, quindi anche i social media.
La domanda che ricorre di continuo negli ambienti ecclesiali è se ha senso che la Chiesa continui a investire nei mezzi della comunicazione sociale o se indirizzare le poche risorse a disposizione possono essere convogliate altrove. Molto dibattuta è poi anche la questione legata all’intelligenza artificiale e quindi delle future sfide etiche e sociali. Vale la pena?
La risposta secondo me è Sì! Se oggi vogliamo incarnare e testimoniare la bellezza dell’esperienza cristiana, non possiamo non stare, da credenti e con i nostri mezzi, nel mondo dei mass media. Proprio perché ci troviamo in questo tempo di precarietà possiamo dare ai giovani, in questi spazi che loro frequentano quotidianamente, una lettura della realtà alla luce del Vangelo, per portare loro una parola di speranza. Dunque i social media sono indispensabili nel mondo di oggi se appunto si vuole arrivare ai ragazzi, anche se bisogna utilizzarli nella giusta dose e con cautela perché la nostra reputazione può essere molto influenzata dalle attività online e quindi dobbiamo vagliare molto bene i contenuti prima di pubblicarli.
L’attenzione ai nuovi media è anche una delle riflessioni del sinodo attuale, che ha creato un posto per il “sesto continente”, quello digitale. Internet non è visto soltanto come uno strumento di evangelizzazione ma è un nuovo territorio di missione perché trasforma il nostro modo di vivere le relazioni e di percepire la realtà. In questo, sono all’avanguardia i missionari saveriani, il cui carisma è l’annuncio del Vangelo a chi non lo conosce: di recente è stato ordinato sacerdote un giovane italiano che non ha avuto come destinazione di missione un Paese, bensì proprio il continente digitale. Per cui ha seguito un master in giornalismo a Boston e ora sta girando le diverse missioni dei saveriani nel mondo per raccontarle attraverso i nuovi media e stanno facendo accordi con delle piattaforme di distribuzione dei contenuti per arrivare anche al mondo non cattolico. È un esempio su cui vi invito a riflettere per il futuro.
Tuttavia, anche se i social hanno un loro peso, tra i giovani a mio avviso conta sempre di più il passaparola. Quindi, ad esempio, quasi nessuno farà un’esperienza missionaria perché ha letto un post su Instagram, quanto piuttosto se rimarrà affascinato da una testimonianza o dal racconto di un amico che magari ha fatto questa esperienza. Possiamo dire però che, se lo stesso giovane è insicuro se partire o no, magari vedere quel post sui social potrà convincerlo a partire. Pertanto i social costituiscono un elemento rafforzativo della nostra comunicazione.
Da rivista ad associazione
Una peculiarità del progetto Terra e Missione è che, oltre a dare notizia, il nostro intento è anche quello di “fare notizia”, grazie alle iniziative che organizziamo, e quindi è un po’ come se l’associazione stessa prendesse vita dalle pagine del giornale.
Tra i progetti più rilevanti che stiamo portando avanti attualmente, c’è il laboratorio di cucito “Fili di speranza” che abbiamo realizzato a Ladispoli, in provincia di Roma, dove si trova la sede legale dell’associazione. Al momento stiamo svolgendo un corso base, che si rivolge a donne disoccupate e che terminerà nel mese di giugno. Lo scorso anno abbiamo concluso il corso con una sfilata di moda, che speriamo di realizzare anche quest’anno, però per noi l’obiettivo di questo progetto, più che insegnare l’arte del cucito, è quello di aiutare queste donne a “ricucire” la propria relazione con il Signore e questo lo si può fare attraverso un’esperienza di gratuità perché poi quest’iniziativa non ha un costo ma viene offerta gratuitamente alle signore che stanno partecipando.
Quest’anno abbiamo replicato il corso anche in Camerun, grazie alla Fondazione Thouret delle Suore della Carità di Santa Giovanna Antida, precisamente nel villaggio di Ngaoundal, dove stiamo offrendo la possibilità a 20 ragazze di imparare l’arte del cucito e in questo caso abbiamo comprato loro anche le macchine da cucire che, una volta finito il corso, potranno portare a casa. La cosa bella è che si è creato un vero e proprio un gemellaggio tra le signore italiane e le ragazze del Camerun e il 9 marzo abbiamo realizzato un primo video-collegamento per farle conoscere tra loro e poter realizzare scambi di modelli e di consigli nell’arte del cucito.
Con le Suore della Carità stiamo collaborando anche sul fronte della formazione missionaria per i giovani e quest’estate il Camerun sarà una delle mete estive, insieme all’India e all’Argentina, in cui potremo portare i ragazzi che si sono avvicinati alla formazione.
Poi ci sono due progetti legati all’Amazzonia:
- Una mostra di disegni realizzati da padre Ezechiele Ramin, che abbiamo progettato con fr. Alberto e con la Famiglia Ramin, in collaborazione con il Movimento Laudato Si’, che è stata inaugurata lo scorso 15 marzo nel giardino delle Suore della Carità e successivamente alla Facoltà Auxilium. La mostra si chiama “Passione Amazzonia”: ci sono scene legate alla quotidianità dei popoli indigeni che si alternano a quelle della passione di Cristo ed è stata realizzata in occasione della Giornata dei missionari martiri, proprio nel tempo di Pasqua, insieme anche ai centri missionari di Roma e di Porto Santa Rufina.
- L’altro progetto, invece, è realizzato direttamente in Brasile in collaborazione con l’arcidiocesi di Manaus, città dove mi sono recata lo scorso anno grazie all’ospitalità delle sorelle del Pime. Tramite loro con l’arcidiocesi stiamo avviando un corso di giornalismo per i giovani della PasCom, la pastorale della comunicazione, e il primo corso, che è partito il 20 aprile, si svolgerà nell’area missionaria di S. Pedro Apostolo. L’obiettivo è quello di formare questi giovani nella scrittura, nella realizzazione di filmati e nell’uso dei social per far sì che possano mettere le competenze acquisite a servizio della rivista diocesana, della radio o ancora dei social media della diocesi.
Inoltre, durante l’anno organizziamo una serie di pellegrinaggi. Il prossimo si terrà ad Assisi il 4 maggio e verrà realizzato in collaborazione con le Suore Francescane Missionarie di Assisi e le Francescane Missionarie d’Egitto, che ci accompagneranno nel percorso e guideranno anche le diverse meditazioni. In questo, l’associazione mostra sempre di più come la missione non sia solo un’attività individuale, ma un impegno comunitario.
Personalmente, posso dire che Terra e Missione ha giocato un ruolo fondamentale in questi anni nel plasmare il mio impegno missionario e nel nutrire la mia passione per la missione. Le storie di speranza e di resilienza che ho modo di leggere sulle pagine del giornale, così come le stesse meditazioni sul Vangelo che pubblico sul sito, hanno illuminato il mio cammino e continuano a ispirarlo ancora oggi.
Le sfide:
Comunicazione è missione?
Sicuramente fare missione è annunciare, comunicare a tutti la gioia del Vangelo, e allo stesso tempo essere dei comunicatori attenti e consapevoli è una missione. Di certo, oggi le dinamiche sono cambiate. Basti pensare che San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti, che si poneva il problema dell’ascolto delle omelie in chiesa, introdusse i “pizzini” dei biglietti scritti a mano, con frasi brevi e intense, da distribuire nelle case o da affiggere all’ingresso delle chiese. Che fu allora un metodo rivoluzionario. Oggi questi brevi pensieri li scriviamo su X, ex Twitter, o ancora realizziamo dei brevi filmati, sulle diverse piattaforme social come Instagram o TikTok. In Italia sacerdoti come Don Luigi Epicoco, Don Alberto Ravagnani o alche figure laiche, come l’attore Giovanni Scifoni, sono dei grandi comunicatori e influecer cattolici.
A ogni modo, quello che secondo me è importante sottolineare è che nel messaggio della Chiesa al centro di tutto, il fondamento di tutto, devono essere sempre la Parola di Dio e la testimonianza. Non sì può prescindere dalla coerenza tra ciò che si annuncia e ciò che si vive. Anche perché i giovani lo capiscono subito se siamo veri o no in quello che diciamo. Una volta che c’è Verità la si può comunicare scegliendo la piattaforma che ci permette di raggiungere quante più persone possibili per far arrivare a tutti un messaggio chiaro. La sfida oggi è anche quella di saper arrivare a mondi molto lontani dal nostro, quindi anche ai non credenti. Altrimenti si rischia di essere autoreferenziali e di parlare solo a se stessi. Questa è la sfida e la missione dei comunicatori di oggi. Non a caso il tema della Giornata Missionaria Mondiale del 2024 sarà “Andate e invitate al banchetto tutti”, nel contesto della parabola del banchetto di nozze, in cui ritroviamo l’invito a lasciarci trascinare nel movimento della missione per portare la nostra testimonianza evangelica ai crocicchi delle strade, a tutti senza esclusione, in ogni ambiente della nostra quotidianità.
L’animazione missionaria
Oggi si rende necessario un forte risveglio missionario nelle nostre comunità ecclesiali, che dia nuovo vigore e profondità alla vita cristiana. Per questo, è importante che l’animazione missionaria non venga vista come un’attività di ripiego, dovuta all’impossibilità di vivere la missione in maniera “diretta e attiva”, come ad una sorta di “piano B” di cui accontentarsi, viste le circostanze. Al contrario, l’appassionare anche altri della nostra stessa passione, può e anzi deve trovare il suo posto al centro del carisma dei diversi istituti. In gioco non c’è soltanto cosa fa la persona nella sua attività missionaria. In gioco c’è l’evangelizzazione del mondo, e la strategia dello Spirito guarda all’efficacia di quest’opera universale.
Certamente anche oggi nelle nostre comunità cristiane c’è un certo interesse missionario, ma non è qualcosa che riesce a trasformare la vita delle persone. Un aspetto che mi ha colpito molto del Brasile, quando ho avuto modo di partecipare alle “settimane missionarie” organizzate dalle diverse comunità, è il forte contributo che viene dai laici, che si sentono protagonisti della missione. Nella diocesi di Manaus e ancora di più in quella di Parintins, che comprende poi un’infinità di comunità “ribeirinhos”, che vivono lungo le rive del Rio delle Amazzoni (che ho potuto raggiungere in canoa insieme alle sorelle del Pime), ho visto come i laici partecipano attivamente alla vita ecclesiale. Sono i laici e, soprattutto, le laiche a portare avanti le comunità cristiane per le quali l’Eucaristia domenicale ha un’importanza cruciale. Ma l’esperienza delle comunità ecclesiali di base in generale nell’America Latina è anche legata al fatto che c’è scarsità di clero e quindi questo permette al laicato di esprimersi con più facilità, di essere più coinvolti nell’apostolato, nell’evangelizzazione e nella promozione umana.
Ovviamente siamo tutti corresponsabili, laici e consacrati. Viene quindi da chiedersi quanto anche i missionari, oltre a sentirsi “operatori” di missione, desiderino esserne animatori. Quante sono nel concreto le energie, le idee, il personale adeguato che si offre all’animazione missionaria, piuttosto che ad altri ambiti?
Se guardiamo all’Italia, in tante parrocchie vediamo che oggi il gruppo missionario non esiste più o agisce con criteri personalistici, preoccupandosi più di raccogliere fondi, che di evangelizzare. L’animazione missionaria non si può confondere con la cooperazione economica o con l’aiuto a un luogo di missione ma è qualcosa di più grande.
“Animazione” significa comunicare vita e spirito; “Animazione missionaria” perciò è un’azione pastorale per far diventare missionarie le persone, cioè permettere loro un incontro personale con Cristo perché poi possano diventare suoi testimoni e portare anche ad altri il suo messaggio. Ciò è quanto dovrebbe capitare alla Chiesa, a ogni parrocchia e gruppo missionario, a ognuno di noi.
Di certo, l’azione evangelizzatrice non è il risultato di uno sforzo meramente umano; bisogna prendere coscienza del fatto che c’è Qualcuno che ci precede e lavora nell’intimo di ognuno, per cui «lo Spirito Santo è l’agente principale dell’evangelizzazione. Ma è nostro compito facilitare e aiutare gli altri a saper scoprire la presenza salvatrice di Dio in mezzo a loro e di sostenerli nel dialogo e nella risposta generosa a Dio.
Secondo me, per essere capaci di fare questo, dobbiamo porter tornare con la mente e con il cuore al momento in cui anche nella nostra vita c’è stato questo nostro incontro personale con Cristo per poter ravvivare questo ardore missionario. Mi viene in mente l’immagine dei due discepoli di Emmaus, che si allontanavano da Gerusalemme con il volto triste, con il cuore pesante e sfiduciato. E poi incontrano questo sconosciuto, con Lui si raccontano e vengono ascoltati, fino ad arrivare a condividere l’alloggio e la mensa. Ed allora che è avvenuto il riconoscimento, nel gesto eucaristico del pane spezzato, che ha aperto loro gli occhi e gli ha fatto ardere il cuore. Tanto da riprendere poi il cammino e diventare missionari.
Se oggi tutti noi siamo qui in questa sala è perché credo che nel cuore di ognuno di noi ci sia stato questo momento, che è stato un po’ come uno spartiacque, che ha diviso la nostra vita in un “prima” e un “dopo”.