“Pensare e generare un mondo aperto” è il titolo del terzo capitolo dell’enciclica Fratelli Tutti. Uno tra i capitoli più lunghi e sicuramente un capitolo centrale nel dispiegarsi del documento. L’ho letto e riletto più volte e ogni volta ho incontrato spunti di riflessione.
“Nessuno può sperimentare il valore della vita senza volti concreti da amare” (FT 87). Vorrei soffermarmi a riflette su questa frase del documento.
In questi giorni ricorre il secondo anniversario della scomparsa di Edvard Dantas Cardeal. Per tutti voi questo nome non dice nulla ma sono sicuro che il solo pronunciare questo nome provoca negli abitanti di Piquià de baixo (forse adesso è meglio parlare di Piquià da conquista) ricordi e gratitudine.
Seu Edvard è stato il primo e storico presidente dell’Associazione degli abitanti di Piquià de baixo ed è morto il 22 gennaio 2020, ucciso da quella polvere di ferro che lui ha combattuto per tutta la vita. Ho conosciuto Edvard poco dopo essere arrivato a Piquià. Un pomeriggio si è presentato nella nostra casa con due lettere in mano.
La prima era una lettera che lui aveva scritto all’allora presidente Lula e Edvard chiedeva a quel presidente che gli ispirava fiducia, perché venuto dal basso e figlio del popolo, che cosa doveva fare per fare in modo che la sua gente, gli abitanti di Piquià de baixo, potessero avere un futuro migliore del suo, lontano dall’inquinamento delle fabbriche siderurgiche. Edvard ripeteva più volte che aveva scritto quella lettera non perché lui volesse stare meglio ma l’aveva scritta per la sua gente, per i ragazzi e le ragazze di Piquià perché potessero avere un futuro diverso dal suo, lontano dall’inquinamento. Edvard conosceva uno per uno questi ragazzi e ragazze, conosceva uno per uno le persone di Piquià che per lui non erano solo nomi e cognomi ma persone concrete, volti conosciuti e da “amare”.
L’altra lettera era la risposta del Presidente che semplicemente dava un consiglio ad Edvard: quello di rivolgersi al ministero pubblico. Edvard non aveva mai parlato con un giudice, non sapeva come fare ma lo doveva fare e allora ci ha chiesto di aiutarlo. E allora abbiamo camminato con lui e stiamo continuando a camminare con la gente di Piquià e anche per noi gli abitanti di quel quartiere sono diventati volti concreti da amare, persone con le quali lottare, sognare, farsi coraggio, gridare l’indignazione; uomini e donne con le quali e con i quali condividere la vita e scoprire insieme ogni giorno l’immenso valore della dignità di ognuno e ognuna di noi.
“D’altra parte, non posso ridurre la mia vita alla relazione con un piccolo gruppo e nemmeno alla mia famiglia, perché è impossibile capire me stesso senza un tessuto più ampio di relazioni”; sono parole di Papa Francesco al numero 89 dell’Enciclica Fratelli Tutti.
E’ questo il processo che Edvard ha messo in moto: la storia della lotta di Piquià è conosciuta in tutto il mondo, il cammino fatto da questa comunità è stato “messo in rete” condiviso con il cammino di tante, tantissime altre piccole comunità di resistenza e questi cammini aiutano a pensare e generare un mondo aperto.