Gesù parla del “tale che cadde nelle mani di briganti” che però rappresenta tutti gli uomini e donne, assaliti, oltraggiati, oppressi, disoccupati, sfruttati, caduti nelle mani di briganti di tutti i tempi; rappresenta anche tutte le povertà di oggi. Così come i briganti rappresentano tutta la struttura di peccato personale e sociale del nostro tempo. Il fatto che Gesù ci fa trovare il povero “sulla strada” e’ molto significativo, molto attuale per noi missionari comboniani: tutte “le gioie, le speranze, le tristezze, le angosce della gente, soprattutto dei poveri e di coloro che soffrono, sono pure le gioie, le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo” (GS 1 – FT 56).
La prassi sociale della Chiesa si impegna su entrambi questi fronti: nel servizio diretto alle persone nel bisogno, e nell’azione per la trasformazione sociale, per il superamento delle strutture di peccato. Grazie anche allo sviluppo delle scienze sociali, oggi la Chiesa ha a disposizioni strumenti per valutare criticamente le situazioni sociali dal punto di vista strutturale, non solo spirituale e morale.
La nostra risposta al grido dei poveri, dunque, non sarà la stessa ovunque. Sarà piuttosto specifica, partendo dal contesto locale socio-economico, politico, culturale e religioso, consapevoli del tipo di povertà che abbiamo di fronte. Per noi missionari comboniani la “strada” è la chiamata ad “uscire”.Da noi stessi, dalla nostra zona di comfort, verso “la strada”, verso l’incontro fraterno coi poveri. Avendo ben chiaro che non siamo “monachus”, non siamo fatti per la vita di clausura, e che ci dobbiamo aprire ai poveri. Non possiamo barricarci dietro a quello che è già stato fatto da noi o da altri. Nemmeno possiamo pensare che l’età ci escluda dal contatto con i poveri, ne’ concederci di chiudere i nostri cuori o le porte delle nostre case a loro! Siamo disposti ad invitare dei poveri a condividere la nostra vita?
Siamo missionari chiamati ad uscire, senza protagonismo, con “compassione” (FT 67) che poi coinvolge altri e che alla fine sarà ispirazione per i poveri a diventare dignitosi soggetti protagonisti di compassione e fraternità: “Faranno loro, quello che e’ stato fatto a loro” (Lc 6,31; Mt 7,12). La fraternità nelle nostre comunità e la collaborazione con la Famiglia Comboniana, prefigura il Regno di Dio, manifesto quando usciamo da noi stessi, assumiamo, elaboriamo, viviamo rapporti da fratelli e sorelle, in uguaglianza, senza clericalismo, come il Cenacolo di apostoli che Comboni intendeva.
Come sottolinea papa Francesco, “quando il cuore assume tale atteggiamento [di amore fraterno] è capace di identificarsi con l’altro senza badare a dove è nato o da dove viene. Entrando in questa dinamica, in definitiva sperimenta che gli altri sono sua stessa carne” (Is 58, 7; FT 84).