Fr Alberto Parise mccj

La cultura dell’incontro è un tema che percorre tutta la lettera enciclica Fratelli tutti ed è un tema caro a Papa Francesco, perché contrasta la cultura dello “scarto” che caratterizza la nostra epoca globale. Stiamo parlando di una situazione complessa, che il Papa descrive così:

Persistono oggi nel mondo numerose forme di ingiustizia, nutrite da visioni antropologiche riduttive e da un modello economico fondato sul profitto, che non esita a sfruttare, a scartare e perfino ad uccidere l’uomo. Mentre una parte dell’umanità vive nell’opulenza, un’altra parte vede la propria dignità disconosciuta, disprezzata o calpestata e i suoi diritti fondamentali ignorati o violati. (FT 22)

Così – insiste l’enciclica – una porzione sempre più grande di umanità sembra essere sacrificabile, le persone non sono più viste come un valore primario da rispettare e proteggere, e prevale una comoda indifferenza, la tentazione di allontanarsi dalla sofferenza e dal grido dei poveri e della Terra. Un segno tangibile di questo spirito del nostro tempo sono i tanti muri, sia fisici che socio-culturali, che si stanno costruendo in tutto il mondo, cementando una chiusura in se stessi e nei propri interessi. Così lo spreco assume forme concrete come la disoccupazione, il razzismo, la xenofobia e nuove forme di schiavitù, ed è una dimensione strutturale del sistema consumistico. L’oggetto dello spreco non è solo il cibo, le risorse naturali e i beni superflui, ma spesso gli stessi esseri umani.

La cultura dell’incontro, invece, crea nuove relazioni e porta a sperimentare la fraternità e una comunione universale che trascende le differenze. Il tema della cultura dell’incontro emerge frequentemente nell’insegnamento di Papa Francesco, e in Fratelli tutti è trattato a lungo e in profondità. Si tratta di un insieme di atteggiamenti, valori e pratiche che informano uno stile di vita segnato dall’apertura agli altri, che è una dinamica essenziale per lo sviluppo umano integrale, per essere fecondi come persone e come popoli. Senza tale apertura, non è possibile dare vita a un mondo fraterno, come comunica l’immagine del poliedro, che ha molte facce e diversi lati, ma tutti insieme compongono un’unità ricca di sfumature, in cui le differenze coesistono integrandosi, arricchendosi e illuminandosi a vicenda. (FT 215)

Ci sono molti elementi della cultura dell’incontro evidenziati nell’enciclica. Essi ruotano intorno a tre punti di riferimento: ospitalità, dialogo e impegno. Questi hanno un effetto importante su chi li pratica, ma non sono motivati principalmente dalla convenienza, piuttosto dalla gratuità.

L’ospitalità è un atteggiamento e una pratica di ascolto, è il gesto di “sedersi per ascoltare l’altro”. Consiste nell’incontro con l’umanità al di là del proprio gruppo, ed è caratterizzata dalla gentilezza, che opera “una liberazione dalla crudeltà che a volte penetra le relazioni umane, dall’ansietà che non ci lascia pensare agli altri” (FT 224). Su questo punto, l’enciclica offre una riflessione toccante quando afferma che: “una persona gentile, mette da parte le sue preoccupazioni e le sue urgenze per prestare attenzione, per regalare un sorriso, per dire una parola di stimolo, per rendere possibile uno spazio di ascolto in mezzo a tanta indifferenza”.

Il dialogo si costruisce soprattutto sul rispetto del punto di vista dell’altro, dell’alterità e dell’identità altrui, accettando la possibilità che contenga convinzioni o interessi legittimi, nella consapevolezza che ognuno ha qualcosa di importante da dare. Dialogo – spiega Papa Francesco – significa “avvicinarsi, esprimersi, ascoltarsi, guardarsi, conoscersi, provare a comprendersi, cercare punti di contatto,” (FT 198), anche se ci possono essere aspetti che non si possono assumere come proprie convinzioni (FT 203). Tuttavia, il confronto con prospettive diverse e con chi è diverso è fondamentale per una conoscenza completa e chiara di se stessi. Guardando se stessi dal punto di vista dell’altro, si possono riconoscere meglio le particolarità della propria persona e della propria cultura, le ricchezze, le possibilità e i limiti (FT 147). Inoltre, il dialogo, in quanto cultura dell’incontro, coinvolge anche la dimensione corporea, l’essere presenti all’altro nella propria umanità, attraverso gesti fisici, di espressioni del volto, di silenzi, di linguaggio corporeo, e persino di profumo, tremito delle mani, rossore, sudore (FT 43). L’importanza della comunicazione non verbale non può essere sopravvalutata, così come dei linguaggi come la musica e la danza, le arti visive e altre espressioni culturali come la cucina.

Nella cultura dell’incontro, l’impegno richiede atteggiamenti come la tenerezza, definita come “l’amore che si fa vicino e concreto” (FT 194), l’inclusione sociale e la solidarietà che si esprime concretamente come servizio, che è in gran parte la cura della vulnerabilità. La solidarietà è pensare e agire in termini di comunità, dando priorità alla vita di tutti rispetto all’appropriazione di beni da parte di alcuni. Ma è anche lottare contro le cause strutturali della povertà, della disuguaglianza, della disoccupazione e della negazione dei diritti; è affrontare gli effetti distruttivi dell’impero del denaro e prendersi cura della nostra casa comune (FT 116).

Malankeba! Un incontro trasformativo

L’enciclica Fratelli tutti evidenzia come l’esistenza di ognuno di noi è legata a quella degli altri, così che “la vita non è semplicemente tempo che passa; la vita è un tempo di incontro” (FT 66). E le storie dei migranti nel nostro tempo sono storie paradigmatiche di incontri tra persone e culture (FT 133). Ho avuto la fortuna di sperimentare tutto questo grazie all’iniziativa Malankeba!, uno spazio di condivisione e dialogo interculturale che riunisce gruppi di giovani italiani e giovani richiedenti asilo, soprattutto africani. È nata sulla scia di un campo estivo in un centro di accoglienza per richiedenti asilo nell’agosto 2016. L’iniziativa è partita dai giovani che hanno partecipato a quel campo e che poi hanno voluto portarla avanti, coinvolgendo sempre più persone e proseguendo ancora oggi a Padova, con il sostegno dei Missionari Comboniani e dell’Associazione Popoli Insieme.

Al centro del programma ci sono gli incontri tematici mensili, che prevedono un’accoglienza, giochi di presentazione e attività di conoscenza reciproca, condivisione su un tema di attualità con metodi partecipativi, una cena condivisa, musica africana e ballo. Tra un incontro e l’altro, ci sono anche altre iniziative, come sessioni di formazione e approfondimento, soprattutto sulle dinamiche interculturali; o anche uscite auto-organizzate dai partecipanti, in piccoli gruppi misti. Nella terza edizione del programma sono state introdotte anche altre attività, come il “Calcio Malankeba!“, che coinvolge i giovani nella condivisione interculturale attraverso lo sport, e lo scambio coreografico, eventi in cui i partecipanti condividono tra loro danze di culture diverse.

In questa esperienza, i giovani si incontrano in un contesto di gruppo, sentendosi ben accolti e ascoltati. Questo crea le condizioni per stabilire relazioni orizzontali e simmetriche in uno spazio libero da luoghi comuni, ruoli predefiniti e pregiudizi, che permette un dialogo rispettoso e aperto alle interazioni interculturali.

Attraverso attività e dinamiche appropriate, si trasforma il modo di relazionarsi con l’altro. I giovani crescono nella consapevolezza critica del proprio punto di vista e nell’accogliere quello degli altri. Sviluppano anche la capacità e la determinazione di agire e interagire con il territorio per l’accoglienza e l’inclusione dei migranti.

Al centro di Malankeba! c’è il protagonismo dei giovani, che viene alimentato attraverso il loro coinvolgimento e la loro leadership nell’équipe educativa. Il ruolo dell’équipe è quello di facilitare gli incontri attraverso spazi informali e flessibili, con la possibilità di diversi livelli di coinvolgimento che accolgano le diverse esigenze dei partecipanti; l’attenzione alle dinamiche di gruppo, e l’offerta di occasioni di condivisione e libertà di espressione. Un altro elemento importante è la cura dei bisogni espressi e inespressi e l’utilizzo di linguaggi significativi, come la musica, la danza, il gioco, il corpo e l’espressione creativa.

Gradualmente, la crescita si dispiega grazie alla combinazione di momenti esperienziali, condivisione profonda e riflessione sull’esperienza; così come l’esercizio della creatività e l’acquisizione di competenze interculturali, senza dimenticare momenti di spiritualità basati sull’esperienza.

L’architettura dell’incontro

Da questa e da molte altre esperienze degli ultimi 20 anni, mi sono reso conto che esiste un’architettura dell’incontro, cioè le strutture invisibili che sostengono le dinamiche dell’incontro e portano a esperienze di gruppo e comunitarie trasformative. Osservando schemi ricorrenti, ho notato 5 dinamiche interdipendenti che generano esperienze d’incontro che uniscono le persone, creano amicizia e costruiscono convivialità e visioni condivise. Tali dinamiche sono: evocare l’umanità, facilitare la partecipazione, trascendere le differenze, ascoltare in profondità e prendersi cura.

Il semplice fatto di accogliere e riconoscere le persone evoca in loro una risposta dal profondo della loro umanità. Le persone tendono ad essere generative, è come se si attivasse in loro una gratuità del dare. Questa generosità può trovare espressione, per esempio, quando si offre loro l’opportunità di parlare di sé, o di condividere in modo personale, o di raccontare quelle esperienze trasformative che hanno fatto la differenza nella loro vita. In un processo di incontro, evocare l’umanità delle persone deve essere un processo continuo, non qualcosa da fare solo all’inizio per creare l’atmosfera dell’incontro. Si instaura una predisposizione a concentrarsi sulla loro umanità condivisa, piuttosto che attivare opposizioni ideologiche.

La partecipazione è un elemento chiave per innescare il coinvolgimento e liberare energia e creatività nelle persone. Per questo è importante facilitare la partecipazione di tutti. I metodi partecipativi aiutano a promuovere relazioni orizzontali, reciprocità, collaborazione spontanea ed empatia, così come opportunità di esprimersi e sentirsi accolti.

Ogni incontro autentico, tuttavia, fa emergere le differenze, che possono essere tanto una risorsa quanto una fonte di conflitto o di divisione. Infatti, per arrivare alla comunione, bisogna necessariamente attraversare le acque agitate delle differenze e dei conflitti. È qui che entra in gioco la terza dinamica indispensabile: quella di trascendere le differenze, senza obliterarle. Ciò significa trovare l’unità al di là di ciò che divide, o trovare un approdo dove ognuno si senta a casa pur rimanendo se stesso e affermando la propria verità.

È quindi essenziale l’ascolto in profondità, combinato con uno sguardo contemplativo per percepire ciò che è oltre la superficie e affinare il discernimento. Si tratta di ascoltare la vita che emerge nell’incontro e nell’esperienza delle persone, così come i loro bisogni espressi e inespressi, e di contemplare la presenza e l’azione di Dio nella situazione.

Infine, è importante prendersi cura, o accompagnare il cammino. L’incontro rimane un dono, ma poi ciò che fa la differenza – a livello comunitario e sociale – è il seguito, la progettazione di processi che promuovono la pace e la fraternità animando, incoraggiando, sostenendo e promuovendo la vita e la comunione.

Ho sperimentato queste cinque dinamiche come una sorta di cornice sulla quale prende vita un incontro di umanità. Coloro che le concretizzano avviando processi e sviluppando buone pratiche non sono altro che artigiani della fraternità.

Previous articleFratelli tutti: una lettura dalla vocazione del Fratello Comboniano
Next articleRiassunto capitolo 7