Segretariato Generale della Missione – Gennaio 2024

Il XIX Capitolo Generale ha confermato l’orientamento già indicato dal Capitolo che lo aveva preceduto a riguardo dello sviluppo di pastorali specifiche:

«Assumiamo le pastorali specifiche secondo le priorità continentali (cf. AC ’15, 45.3) come punto di riferimento per la riorganizzazione degli impegni (riduzione, focalizzazione, collaborazione) nelle Circoscrizioni e nei Continenti». (AC ‘22, 31)

Nel discernimento fatto nel 2015 era infatti emerso che in molti casi siamo, per grazia del Signore, presenti alle frontiere della missione, in linea con il carisma comboniano. Tuttavia, spesso la pastorale che portiamo avanti è generica, cioè si fa più o meno quello che si fa anche in altri contesti. Il richiamo dell’Evangelii gaudium, che ispirò quel Capitolo, fu uno stimolo per riconsiderare l’approccio pastorale in ordine ad una maggiore contestualizzazione, frutto di una chiesa in uscita, attenta alle situazioni particolari ed alle culture, anch’esse da evangelizzare, per una inculturazione del Vangelo.

Questo orientamento rappresenta anche una opportunità di riqualificazione delle nostre presenze missionarie, in comunione con le chiese locali. Da un lato crescere nella pratica dell’inserzione, a partire dalla conoscenza delle lingue e culture locali, dal fare causa comune con la gente, del servizio perché il popolo emerga come protagonista del proprio cammino di evangelizzazione (cf. la Rigenerazione dell’Africa con l’Africa), in una prospettiva di inculturazione del Vangelo.

Dall’altro, a fronte di una mole eccessiva di impegni – in considerazione della disponibilità e forza del personale – ed alla loro frammentazione, che rende molto difficile dare continuità, fare dei percorsi coerenti e d’insieme, ci si è resi conto che è possibile ridurre dispersione e frammentazione focalizzandosi sulle priorità continentali, sulle quali esiste un consenso già da molto tempo. In particolare, ad una analisi critica di tali priorità, emerge che sono di due tipi diversi: ci sono quelle che riguardano gruppi umani prioritari e che quindi sono molto evocative dal punto di vista carismatico, in quanto attualizzano la dimensione ad gentes. La cosa interessante è che tali priorità non sono molte e questo significa che è possibile avere, a livello continentale, una focalizzazione che ci aiuti a superare dispersione e frammentazione. Poi ci sono delle priorità che in realtà sono degli elementi trasversali a ogni contesto missionario, come ad esempio la GPIC, l’animazione missionaria, o i media.

Riaffermando l’orientamento delle pastorali specifiche secondo le priorità continentali, il XIX Capitolo ha sottolineato anche altri aspetti che caratterizzano il loro sviluppo. C’è l’aspetto della sinodalità, quindi la consapevolezza che sia un cammino che non si può fare da soli. Si richiede una comunione con le chiese locali, ma anche una riflessione, collaborazione e scambio a livello continentale, che può prevedere specializzazioni condivise, scambio di personale, gruppi di condivisione e riflessione. (AC ‘22, 33)

Poi c’è l’aspetto della ministerialità, che oltre ad indicare lo stile pastorale di servizio e collaborazione, ci parla anche della sua articolazione, per cui all’interno di una pastorale specifica troveremo vari ministeri che procedono da una visione comune e si integrano a vicenda.

Ciò si collega ad un terzo aspetto su cui il Capitolo ha insistito, vale a dire l’ecologia integrale e il magistero di papa Francesco. Infatti, quando si parla di ecologia integrale, non si intende fare riferimento semplicemente all’ambiente o al clima. Dal momento che tutto è connesso, che tutto è in relazione, tutte le dimensioni della realtà (sociale, economica, culturale, ecclesiale e spirituale, ambientale politica e così via) rientrano nell’ambito pastorale. (AC ‘22, 29 – 30)

Infine, l’aspetto partecipativo e dialogico dello sviluppo delle pastorali specifiche richiede anche una apertura, un dialogo con le tradizioni religiose (RTA e asiatiche, Islam, chiese locali, ecc.), nella linea di una missione che si fa «dialogo profetico». (AC ‘22, 31.7)

Lo sviluppo di pastorali specifiche a livello continentale è una buon opportunità anche per il processo di revisione della formazione e degli accorpamenti delle circoscrizioni. La fase finale della formazione iniziale – scolasticati e CIF – ha il compito, secondo la Ratio Fundamentalis, di promuovere in modo specifico la dimensione ministeriale missionaria. É auspicabile che gli studenti a questo stadio formativo possano sviluppare le competenze necessarie per un servizio in linea con le priorità missionarie dell’Istituto. Per quanto riguarda le circoscrizioni, con la tendenza alla diminuzione ed all’invecchiamento del personale, è prevedibile che ci sarà presto una sensibile contrazione di forze missionarie sul campo. Ciò avrà ripercussioni considerevoli sulla possibilità di portare avanti delle riflessioni ed approfondimenti missionari, di innovare e rispondere alle nuove sfide della missione. Tuttavia, una più stretta comunione e collaborazione tra circoscrizioni, che in caso potrebbe anche diventare accorpamento, focalizzata su pastorali specifiche comuni, potrebbe facilitare una continua rigenerazione e rinnovamento missionario anche con numeri più ridotti di personale e comunità su un territorio nazionale.

Per realizzare tutto questo, bisogna essere proattivi e sistematici. Un impegno assunto dal Capitolo, infatti, è quello di

Avviare percorsi partecipativi per accompagnare lo sviluppo di pastorali specifiche in relazione alle priorità continentali, con particolare attenzione ai gruppi umani prioritari. (AC ‘22, 31.1)

Questo dovrebbe rientrare nella programmazione provinciale e continentale, come un processo accompagnato e monitorato (AC ‘22, 31.5). Ovviamente, a seconda dei casi, tali percorsi possono assumere caratteristiche molto diverse, anche in considerazione del fatto che le pastorali specifiche che abbiamo eletto a priorità non sono necessariamente allo stesso livello di maturazione. In ogni caso non si parte da zero, ma ci sono già diversi elementi, pratiche e strumenti che fanno parte di una tradizione acquisita. Il primo passo, pertanto, sarà quello di restituire in modo sistematico e sintetico a quale punto siamo con ciascuna pastorale specifica.

Elementi di una pastorale specifica

Nel tracciare una sintesi dello stato dell’arte di una pastorale specifica bisogna tenere presenti alcuni elementi fondamentali, vale a dire:

1. Visione

La visione pastorale indica l’orizzonte, o il sogno, verso cui si orienta il servizio il pastorale. Una visione sintetica non necessita di tante parole; ciò nondimeno, è il frutto di un lungo lavoro che si basa su una analisi critica della realtà, una riflessione teologica ed un discernimento pastorale.

L’analisi critica è volta alla comprensione della realtà nella sua complessità, si avvale degli strumenti delle scienze sociali per cogliere il quadro generale, le tendenze, le ragioni profonde dei fenomeni sociali e le loro implicazioni, le mentalità e i presupposti culturali soggiacenti. In poche parole, porta ad una visione sistemica della realtà, partendo dall’esperienza e passando dal livello descrittivo e aneddotico a quello strutturale d’insieme.

La riflessione teologica è fondamentale per una lettura della realtà che colga i semi di vita, la presenza e l’azione di Dio nella storia. Illuminata dalla Scrittura e dal magistero, la riflessione teologica aiuta anche a svelare le strutture di peccato, che poi hanno conseguenze sulla vita delle persone e dei popoli, e ad energizzare una comunità di credenti verso un’alternativa ispirata al Regno di Dio.

Il discernimento pastorale, fondamentalmente, è orientato ad ascoltare gli inviti dello Spirito Santo ed a individuare i percorsi per rispondere a tali inviti. Evidentemente, è un processo continuo, che si dipana passo dopo passo, man mano che si risponde con l’azione alle sfide poste dalla realtà.

Da tutto questo, gradualmente, cresce una visione che più è matura, più si semplifica, nel senso che coglie sempre meglio l’essenziale e gli inviti dello Spirito. (cf. EG 35)

2. Inserzione

Oltre ad avere una visione sintetica, una pastorale specifica necessita di punti di partenza adatti per accedere all’esperienza del popolo, prendere l’iniziativa, coinvolgersi, accompagnare, fruttificare e festeggiare l’esperienza di salvezza, di trasfigurazione della realtà (EG 24). L’inserzione decide del modo di arrivare alla gente, per camminare assieme, ed include lo stile di vita, le strutture di cui si dispone e che si usano, il modo di relazionarsi e di collaborare. Ci possono essere diversi modi di praticare l’inserzione all’interno di una stessa pastorale specifica, a seconda del tipo di servizio, delle caratteristiche dei ministri, delle condizioni ambientali. È possibile dunque dar vita a diversi modelli di presenza all’interno di una stessa pastorale specifica in una data circoscrizione. Ad esempio, una pastorale giovanile può contemplare diversi modi presenza: nella scuola, in gruppi parrocchiali, sulla strada. Sono modi di presenza diversi che aiutano a raggiungere destinatari diversi e ad accompagnarli a partire dai loro contesti specifici.

3. Orientamenti pastorali

A partire dall’esperienza, riflettendo criticamente sulla realtà e seguendo gli inviti dello Spirito, emergono buone pratiche corroborate dal tempo, che sviluppano una saggezza pastorale. Analogamente, con l’esperienza si apprende anche che cosa non aiuta o ostacola una fruttuosa azione pastorale. Grazie alla condivisione delle esperienze ed alla riflessione critica, per comprendere che cosa funzioni e perché, è possibile arrivare a delle linee guida per l’azione pastorale. Si tratta di un passaggio importante, per evitare di ricominciare ogni volta da capo e di ripetere sempre gli stessi errori, per imparare gli uni dagli altri, per fare un cammino coerente e costruttivo d’insieme. Gli orientamenti pastorali di per sé sono delle indicazioni di massima, che poi necessitano di contestualizzazione e di creatività a livello locale. Non vanno assunti meccanicamente, come se fossero una sorta di bacchetta magica, ma compresi criticamente, per essere in grado di applicarli in modo circostanziato ed adeguato, senza dimenticare che sono dei mezzi e non dei fini in se stessi.

4. Articolazione e strutture ministeriali

All’interno di una pastorale specifica ci saranno vari ministeri ed agenti pastorali, che coopereranno come operatori di una pastorale di comunione. Per tenere assieme tale ricchezza ministeriale è fondamentale che ci sia una equipe di coordinamento pastorale, capacità di collaborazione ministeriale, buona comunicazione e momenti strutturati di programmazione, verifica, riflessione, preghiera e celebrazione. I vari ministeri devono confrontarsi, interagire, creare sinergia. Il rischio è quello di burocratizzare il percorso, moltiplicando riunioni e sovrastrutture, togliendo energie e freschezza al servizio: la sfida è quella di trovare un equilibrio e di alimentare sempre la comunione.

Allo stesso tempo, tale articolazione rifletterà l’organizzazione di una serie di strutture pastorali, che pur diverse tra loro dovranno creare una certa sinergia e un’unità nella pluralità. Si tratta di strutture pastorali che possono costituire tanto delle modalità di inserzione nel territorio, quanto centri di formazione, studio e riflessione focalizzati sulla pastorale specifica e a carattere interdisciplinare.

5. Sinodalità

Una pastorale specifica è un fatto ecclesiale, non può essere sviluppata in isolamento, per conto proprio. Nella prospettiva del Capitolo, è una realtà che comprende anche vari livelli. L’inserzione implica anzitutto una comunione con la chiesa locale, che è imprescindibile per l’azione pastorale. Ma poi ci sono anche altri livelli, in quanto nel mondo di oggi non esistono più realtà veramente isolate, ma l’interconnessione e le influenze reciproche si sentono ovunque. Nel nostro caso, ad esempio, il livello continentale è strategico, con la possibilità di condivisione, scambio ed anche collaborazione tra circoscrizioni. A seconda delle tematiche, ci sono coordinamenti ecclesiali a livelli regionali o globali, come nel caso del lavoro di alcuni dicasteri.

Modelli di presenza

Come accennato più sopra, possono esserci diversi modi di presenza e forme ministeriali all’interno di una pastorale specifica. Ci possono essere caratterizzazioni che variano a seconda del contesto e delle situazioni, pur condividendo una visione generale e degli orientamenti pastorali comuni. La descrizione e la comprensione critica di tali modelli risulta molto utile per orientare nuove esperienze e confratelli nel loro servizio ministeriale, che così possono beneficiare consapevolmente dell’esperienza di chi li ha preceduti e dare continuità. Per chi inizia una nuova presenza, non c’è bisogna, per così dire, di reinventare la ruota: basta discernere quale modello di partenza si presta come il più adatto al contesto. La consapevolezza di modelli che funzionano e la comprensione del perché ed a quali condizioni funzionino, costituisce anche un aiuto considerevole alla riqualificazione degli impegni. Vivendo all’interno di un cambiamento d’epoca, molto spesso facciamo l’esperienza che i modelli di presenza che hanno funzionato bene nel passato segnino il passo. Avere a disposizione nuovi modelli può essere di grande aiuto per rispondere a nuove situazioni e condizioni socio-culturali.

Nella descrizione di un modello di presenza, risalta anzitutto la modalità di inserzione, che significa come arrivare in modo significativo alla gente, considerato il contesto, la situazione storica, la cultura, le trasformazioni sociali in atto, ecc. Si tratta, in altre parole, di trovare il punto di partenza favorevole per il servizio pastorale specifico.

In secondo luogo, è utile avere presente quali siano gli elementi essenziali di quel modello e le attività principali che comportano, mettendo a fuoco quella che costituisce la particolarità distintiva di quell’approccio ministeriale.

Serve poi avere ben chiaro quale sia il punto di arrivo, l’orizzonte verso cui il servizio si orienta, e quali siano i semi di vita, o l’azione dello Spirito che guida il percorso. Questa aspetto, evidentemente, è frutto di un discernimento, non di un’ideologia o di un progetto personale. Nell’insieme, la descrizione del modello di inserzione deve essere in grado di spiegare il punto di partenza, i punti di riferimento lungo il cammino ed il punto di arrivo a cui tendere nel percorso.

Per meglio utilizzare il modello, serve anche capire quali siano le condizioni che ci devono essere perché il modello possa funzionare e le competenze che richiede; senza dimenticare la consapevolezza degli ostacoli maggiori da superare, dei limiti impliciti nel modello e di come possa sostenersi, anche economicamente.

Naturalmente, un modello di presenza non sarà mai una realtà fissa, cristallizata, ma avrà anche una sua propria evoluzione, dovuta ai rapidi cambiamenti che caratterizzano il nostro tempo. Parliamo allora di modelli dinamici, in continua evoluzione. Per questo vanno valutati periodicamente, aggiornati e riportati con annotazioni di quali siano gli inviti dello Spirito che potrebbero indirizzarlo verso nuove forme di attuazione.

Un esempio: la pastorale migranti e rifugiati

La pastorale verso i migranti ed i rifugiati (sfollati interni e tratta di persone) è una delle pastorali specifiche odierne con una storia molto lunga ed articolata. Ha raggiunto, nel corso di circa un secolo, un’elaborazione notevole sia dal punto di vista dei contenuti, che per quanto riguarda la metodologia impiegata. Il documento Erga migrantes caritas Christi (2004) presenta una sintesi di tale percorso, muovendo da una lettura sapienziale del fenomeno migratorio, letto come uno dei segni dei tempi, per rispondere ai nuovi bisogno spirituali e pastorali dei migranti e trasformare l’esperienza migratoria in un veicolo di dialogo annuncio del Vangelo (EMCC 3).

Nel corso dei decenni le situazioni storiche si sono trasformate e così anche le risposte ecclesiali e le riflessioni sulla pratica pastorale1. Ciò nonostante, il documento evidenzia una visione pastorale, dei principi di riferimento e delle linee guida che che hanno trovato continuità, corroborate dal tempo.2

A partire dal 2017, con la creazione della Sezione Migranti e Rifugiati all’interno del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, è stata avviata una nuova fase di riflessione scientifica ed elaborazione di linee pastorali per rispondere ad una realtà in continua trasformazione.

L’approccio di questo impegno si distingue per il suo carattere partecipativo e a partire dal basso, documentando buone pratiche pastorali in tutto il mondo e facilitando un confronto e riflessione condivisa per arrivare a delle linee guida generali. Tutto questo senza perdere di vista un’analisi scientifica dei fenomeni migratori e di mobilità umana, e la tradizione sociale e magisteriale della chiesa.

Sono stati così elaborati vari orientamenti pastorali per vari aspetti del fenomeno della mobilità, come ad esempio migranti e rifugiati, sfollati interni, la tratta di persone, la pastorale migratoria interculturale. Segno di una comunione nella diversità di situazioni e contesti e di un cammino dal carattere marcatamente sinodale.

Visione e linee guida pastorali

La visione della pastorale migranti e rifugiati parte da una comprensione dell’esperienza esistenziale, in diversi contesti e situazioni, di questi gruppi umani, corredata di una analisi critica delle strutture socio-economiche, delle dinamiche di potere, delle ideologie politiche e prospettive culturali che ne fanno da sfondo e nelle quali si inquadrano3. Ne risulta un quadro in cui emergono l’interdipendenza crescente in un mondo globalizzato, gli squilibri socio-economici e i fattori di spinta e di attrazione che alimentano la mobilità umana4. I migranti, rifugiati e sfollati interni appaiono spesso come le vittime di tali dinamiche, ma soprattutto, in una lettura teologico-pastorale, come un segno dei tempi e un luogo teologico privilegiato di incontro con il Signore nel mondo di oggi (cf. Mt 25,35).

I fenomeni migratori e gli sviluppi tecnologici della comunicazione stanno portando alla trasformazione da società monoculturali a multiculturali. Una trasformazione sociale profonda, che sta creando situazioni senza precedenti e in rapida evoluzione. Da tutto ciò nascono nuove sfide pastorali: anzitutto, la chiamata a nuovi impegni di evangelizzazione e solidarietà; poi quella di assicurare una armoniosa convivenza, frutto dell’incontro di umanità, di culture e religioni diverse. Un incontro che invita alla conoscenza reciproca, che è occasione di dialogo e di comunione. Tale trasformazione sociale, ad uno sguardo teologico, rivela il disegno di una viva presenza di Dio nella storia e nella comunità umana, poiché offre opportunità provvidenziali per realizzare il piano di Dio di una comunione universale (EMCC 9).

Nella prospettiva di Evangelii gaudium che si basa sulla ecclesiologia conciliare5, la missione di Dio a cui la chiesa partecipa è quella di radunare un “popolo messianico” (LG 9) e questo comporta due sfide, che sono allo stesso tempo opportunità e missione6.

Da un lato c’è la crescita della vita ecclesiale, articolata in due dimensioni: la trasformazione del modo di vivere la cattolicità della fede, inclusivo di ogni battezzato, promuovendo la comunione senza cancellare le diversità culturali, facendo spazio per includere tutti senza divisioni; e la chiamata ad essere chiesa realmente missionaria, raggiungendo quelli che hanno bisogno di aiuto, gli scartati, gli emarginati, gli oppressi, tutte persone da riconoscere e delle quali prendersi cura perché è un comandamento del Signore. La gratuità di questa sollecitudine ed il rispetto dell’identità e della libertà dei migranti sono le condizioni che aprono alla possibilità di una chiesa che cresce per attrazione, non per proselitismo (EG 14).

Dall’altro lato, la chiesa è chiamata a far crescere la cultura dell’incontro, nella consapevolezza che siamo tutti nella stessa barca, condividiamo un destino comune e siamo chiamati alla fraternità universale. Tutto ciò porta ad un arricchimento reciproco ed a proporre un noi sempre più grande, che si rivolge tanto alla chiesa (sempre più inclusiva, appunto) quanto alla società umana, secondo il modello del “poliedro” (EG 236). Essere come un sacramento di unità del genere umano significa, infatti, promuovere una società fraterna in cui le differenze convivono integrandosi, arricchendosi e illuminandosi a vicenda (cf. FT 215).

Il futuro va costruito con migranti e rifugiati, promuovendone l’inclusione – a partire dai più vulnerabili – mettendoli al centro del nostro futuro condiviso, liberando il loro grande potenziale – sociale, economico, culturale, umano e religioso – nella consapevolezza che la presenza di migranti e rifugiati potenzia ogni dimensione dello sviluppo umano integrale ed offre alla società l’opportunità di diventare più interculturale e crescere in umanità7.

Per una articolazione esauriente di questa visione pastorale rimandiamo ai documenti di riferimento in calce a questo breve saggio. Qui ci preme invece accennare a come questa visione si concretizzi nella pratica pastorale secondo delle linee guida che, come detto più sopra, sono il frutto di una riflessione sulle buone pratiche sviluppate nel tempo in tutto il mondo.

a. Quattro verbi per un percorso pastorale coerente

Il servizio pastorale parte sempre dai bisogni concreti, materiali e spirituali, delle persone. In considerazione del dramma vissuto da richiedenti asilo, rifugiati, migranti e vittime di tratta, per offrire una possibilità di trovare quella pace che stanno cercando, si richiede una strategia che combini quattro azioni: accogliere, proteggere, promuovere e integrare8:

1. Accogliere significa ampliare la possibilità di ingresso legale, di non respingere migranti e sfollati verso luoghi dove li aspettano persecuzioni e violenze. La preoccupazione per la sicurezza nazionale va bilanciata con la tutela dei diritti umani fondamentali.

2. Proteggere si riferisce al dovere di riconoscere e tutelare l’inviolabile dignità di chi fugge da un pericolo reale in cerca di asilo e sicurezza e di impedire il loro sfruttamento.

3. Promuovere rimanda al sostegno allo sviluppo umano integrale di migranti e rifugiati: dall’accesso all’istruzione a tutti i livelli di bambini e giovani, allo sviluppo di capacità e talenti, all’incontro, al dialogo e alla cooperazione.

4. Integrare comporta la partecipazione piena alla vita della società, in una dinamica di arricchimento reciproco e di feconda collaborazione per il bene comune e lo sviluppo umano integrale delle comunità locali.

Per ciascuna di queste linee guida, esiste un ampio campionario di buone pratiche che ne articolano in concreto la realizzazione9. E non si riferiscono solo ad un’accoglienza civica, ma hanno anche una dimensione ecclesiale. Così, ad esempio, accogliere e proteggere10 non significa soltanto lavoro, sicurezza e salute per tutti sul territorio, includendo anche le persone con bisogni speciali. Ma includere anche i migranti e i rifugiati come parte attiva delle comunità e associazioni cristiane.

Il ruolo che la chiesa è chiamata ad assumere è quello di ponte tra i migranti non protetti e le istituzioni, di contribuire al cambiamento delle narrazioni sulle migrazioni, per superare pregiudizi, strumentalizzazioni e atteggiamenti ostili, e sostenere politiche e buone pratiche di accoglienza. Servono percorsi di conversione, per aiutare le comunità ospitanti a superare chiusure e discriminazioni, attraverso attività educative, di spiritualità e la promozione della cultura dell’incontro.

Promuovere ed includere migranti e rifugiati significa potenziare il loro contributo per una trasformazione sociale secondo i valori del Regno di Dio. Quindi anche la chiesa è chiamata a promuovere e sostenere politiche socio-economiche inclusive (ad es. formazione professionale, riconoscimento delle competenze già acquisite, apprendimento della lingua e cultura locale, integrazione nel mercato del lavoro e della casa, servizi per la salute e sostegno psico-sociale). I diritti umani fondamentali, incluso quello a non migrare, sono alla base di queste politiche.

Ma al tempo stesso, bisogna alimentare la cultura dell’incontro nelle parrocchie, promuovere l’incontro personale con migranti e rifugiati, , valorizzare la loro soggettività come ambasciatori di pace, solidarietà e amicizia sociale. Tutto questo richiede una preparazione per l’inserimento e l’integrazione nelle comunità ospitanti.

L’integrazione, un processo partecipativo che nasce dall’incontro e cresce nell’arricchimento reciproco, non significa omologazione, ma costruire una città di Dio le cui porte sono sempre aperte e in cui si costruisce un progetto condiviso per il bene comune, nella convivialità delle diversità.

b. Coinvolgere i giovani

La chiesa è convinta dell’importanza di riconoscere e coinvolgere i giovani come protagonisti nel presente. Una particolare attenzione va a loro – nelle attività che realizzano i quattro verbi di cui sopra – e alle seconde e terze generazioni di migranti, che spesso vivono a cavallo di due mondi, non senza grandi sfide e difficoltà. Ne vanno allora valorizzate le potenzialità di essere ponti tra la cultura di origine e la società in cui vivono e di apportare elementi nuovi, inediti, nella costruzione di una società più giusta, sostenibile e fraterna. Il passaggio da una società monoculturale ad una multiculturale può essere un segno della presenza viva di Dio nella storia e nella comunità umana., in quanto offre un’opportunità provvidenziale per il compimento del piano di Dio per una comunione universale11.

c. Diventare una chiesa sinodale

Il fenomeno globale della mobilità umana suggerisce nuovi impegni di evangelizzazione e solidarietà, per una armoniosa convivenza nella transizione verso società multiculturali. Per la chiesa, tutto questo rappresenta anche un’opportunità: dal punto di vista della fede il pluralismo culturale pone la questione dell’inculturazione e del senso di appartenenza alla chiesa universale, nel rispetto di, ma allo stesso tempo oltre, ogni particolarità. Una chiesa autenticamente sinodale, in cammino, non fa differenze tra residenti e ospiti perché in questa terra siamo tutti pellegrini12. Una sfida del nostro tempo è quella di vivere autenticamente la fede in contesti multiculturali e multireligiosi come chiesa in uscita, che raggiunge soprattutto chi sta ai margini e i più vulnerabili, camminando insieme a loro e a Dio, alla ricerca dell’unità, della comunione e della fraternità13. Siamo chiamati a sognare insieme, come un’unica umanità, compagni dello stesso viaggio, come figli e figlie di questa stessa terra che è la nostra casa comune, tutti fratelli e sorelle (FT 8).

Nel contesto ecclesiale, le Congregazioni religiose sono invitate a collaborare e, tenendo conto dei cambiamenti demografici al loro interno, di evitare la dispersione percorrendo il sentiero di progetti intercongregazionali. Collaborare e mettersi assieme è anche una testimonianza della vera natura della chiesa in azione. Quindi il cammino deve andare nella direzione del coinvolgimento di conferenze episcopali, diocesi e parrocchie, lavorando in rete con diverse istituzioni religiose, pubbliche e private.

d. Orientamenti per una pastorale interculturale

La pastorale migranti e rifugiati non può che avere un carattere interculturale per realizzare quel “poliedro” che rappresenta una società in cui le differenze convivono integrandosi, arricchendosi e illuminandosi a vicenda (FT 215). Siamo tutti nella stessa barca, chiamati alla fraternità universale, proponendo un noi sempre più grande, che si rivolge tanto alla società umana, quanto alla chiesa.

Tutto questo fa sorgere quattro sfide decisive: all’interno delle comunità ecclesiali, ci sono la sfida dell’inculturazione e del vivere la cattolicità nelle diversità culturali, di tradizioni locali e di rito. Il sogno è quello di una appartenenza attiva, che si assume responsabilità, partecipa alla vita ecclesiale, anima la liturgia, condivide la religiosità e le espressioni culturali diverse.

Verso la società, invece, le sfide epocali sono il promuovere la cultura dell’incontro e l’essere chiesa missionaria che raggiunge quelli che hanno bisogno di aiuto, gli scartati, gli emarginati, gli oppressi: tutte persone da riconoscere e delle quali prendersi cura perché è un comandamento del Signore. Del resto, la chiesa non cresce per proselitismo, ma per attrazione (EG 14) e proprio la testimonianza di vicinanza, misericordia, condivisione di vita, fraternità, carità – senza nulla aspettare in ritorno – può essere un elemento attrattivo.

Per affrontare queste quattro sfide, il Dicastero raccomanda 7 linee guida pastorali:

1. Riconoscere e superare la paura: la percezione negativa e distorta di migranti e rifugiati, come minaccia alla sicurezza politica ed economica, porta ad intolleranza e xenofobia. Bisogna aiutare a comprendere il fenomeno, favorire un ambiente adatto all’incontro, cambiare le narrazioni ed il linguaggio con cui si parla delle migrazioni. Un passaggio essenziale per il superamento delle barriere è l’incontro, la conoscenza delle persone, delle loro storie, delle cause profonde e degli effetti delle migrazioni. Così come anche il raccontare le buone pratiche dell’accoglienza e dell’ospitalità e il coinvolgimento di adolescenti e giovani, che sono i più aperti ed hanno atteggiamenti più comprensivi.

2. Promuovere l’incontro: le comunità cattoliche si trovano spesso impreparate e disorientate a causa dell’arrivo di molto migranti e rifugiati, che da parte loro hanno difficoltà ad inserirsi nel contesto. Ecco perché una priorità è quella di creare ponti fra comunità locali e nuovi arrivati, nella consapevolezza che le migrazioni sono un’opportunità di incontro e di crescita culturale. Bisogna allora preparare le persone ad incontri vivificanti, spazi d’incontro per condividere esperienze, celebrare le diversità culturali, con progetti pastorali specifici per giovani del posto e nuovi arrivati.

3. Ascoltare ed essere compassionevoli: l’impreparazione ed il sospetto portano a trascurare le esperienze ed i bisogni, le paure e le aspirazioni di migranti e rifugiati. Le comunità cristiane sono chiamate al vero ascolto, che è sempre esercizio di simpatia ed empatia. La persona che ascolta deve imparare a prendersi cura di chi condivide la propria esperienza di vita, profondamente ferita nel caso di migranti e rifugiati. Per questo è necessario preparare le comunità cristiane a questo servizio, coinvolgendo i giovani, gli operatori pastorali, operatori sanitari e sociali.

4. Vivere la nostra cattolicità: è una sfida alla tendenza all’uniformità preconfezionata e alla retorica nazionalista. Bisogna favorire la comprensione della chiesa come comunione nella diversità, accogliendo la molteplicità dell’espressione culturale e religiosa come opportunità per imparare da tradizioni diverse, per apprezzare le ricchezza di spiritualità e tradizioni cattoliche. La cura pastorale specifica di gruppi umani diversi è da intendersi come primo passo di un processo di integrazione a lungo termine.

5. Considerare i migranti una benedizione: i migranti offrono una occasione propizia per far rifiorire la vita ecclesiale, specie dove avanzano il secolarismo ed il deserto spirituale. Questo può avvenire in varie forme, come ad esempio consentendo ai migranti cattolici di mettere a disposizione capacità e competenze, o prepararli ad essere missionari nei paesi di arrivo, testimoni della loro fede e annunciatori del Vangelo. Si può promuovere la partecipazione di migranti e rifugiati alla vita delle parrocchie, promuovere parrocchie interculturali, programmi catechistici e pastorali innovativi che tengano conto dei bambini e dei giovani di seconda generazione, e delle dinamiche interculturali.

6. Realizzare la missione evangelizzatrice: spesso migranti e rifugiati di altre confessioni religiose vengono percepiti come una minaccia all’identità locale religiosa e culturale. Ma tali presenze sono un’occasione provvidenziale per compiere la missione evangelizzatrice della chiesa attraverso la testimonianza e la carità. Le comunità locali e gli agenti pastorali andranno allora preparati per l’incontro ed il dialogo interreligioso, e per la testimonianza gioiosa dell’amore misericordioso di Dio e della salvezza di Gesù Cristo attraverso l’accoglienza ed il servizio.

7. Cooperare in vista della comunione: le attività di assistenza a migranti e rifugiati di vari soggetti cattolici sono spesso frammentarie e non coordinate, compromettendone l’efficacia e causando divisioni e spreco di risorse. Bisogna invece coordinare gli sforzi, promuovere la cooperazione tra chiese locali (di partenza, di transito e di arrivo), migliorare la cooperazione ecumenica a partire dalle progettazione di una pastorale comune.

Modelli comboniani di presenza nel contesto italiano

Nella provincia italiana dei missionari comboniani ci sono varie esperienze ed impegni nella pastorale migranti. Si tratta di esperienze contestuali, quindi anche molto diverse le une dalle altre. Tuttavia, è possibile apprezzarne alcuni tratti comuni e modelli di presenza sul territorio. Ad oggi, ci sono grosso modo quattro modelli di presenza, all’interno dei quali la storia ed il contesto possono comportare variazioni importanti. Tali modelli sono caratterizzati dal tipo di inserzione e punto di partenza ministeriale, attività ed obiettivi specifici, sfide particolari che devono affrontare e considerazioni di sostenibilità. Va detto, però, che questi modelli a volte possono parzialmente sovrapporsi, nel caso di comunità missionarie impegnate a diversi livelli con i migranti. Si distinguono, invece, per come sono strutturati.

1. Progetto di accoglienza e integrazione

Questo approccio funziona bene per un’azione sul territorio di una chiesa in uscita, proiettata al di là dei propri confini ecclesiali, per approdare ad un incontro, ad un dialogo aperto ed alla accoglienza delle diversità. Si presenta in varie modalità, che vanno dall’opera strutturata con personalità giuridica e budget importante, all’iniziativa costruita sul semplice incontro di persone. In genere, questi progetti nascono in risposta a bisogni concreti sul territorio – come ad esempio la prima o la seconda accoglienza, l’incontro e il dialogo interculturale, o la sensibilizzazione sul territorio – e a inviti che tali situazioni fanno al carisma comboniano.

In questo tipo di interventi – anche molto diversi tra loro – ci sono alcuni aspetti ricorrenti:

= la creazione di un ambiente accogliente;

= l’ascolto attivo;

= la condivisione degli spazi e del tempo;

= la proposta di percorsi educativi di vari livelli;

= il coinvolgimento di giovani e professionisti del territorio;

= la promozione del protagonismo dei migranti;

= il ruolo centrale della collaborazione con con altri operatori civici, istituzionali ed ecclesiali;

= la costruzione di reti sociali.

Per quanto riguarda le attività più ricorrenti, queste nell’insieme articolano le quattro strategie generali della pastorale migranti:

= Accogliere: strutture di prima accoglienza (vitto, alloggio, orientamento) e di seconda accoglienza (per l’autonomia abitativa e lavorativa), ospitalità / convivenze temporanee, spazi di incontro e di condivisione.

= Proteggere: servizi di attivazione di assistenza sanitaria, psicologica e legale; attività di supporto in momenti di crisi.

= Promuovere: qui troviamo varie attività educative e formative, dai corsi di lingua, alla formazione professionale, a laboratori creativi ed espressivi, alle borse di studio e accompagnamento di studenti universitari; oltre a iniziative di avviamento al lavoro, con servizi che aiutano con la burocrazia, favoriscono contatti con il territorio e l’imprenditorialità.

= Integrare: attività di sensibilizzazione ed educazione sul territorio, incontri regolari ed eventi pubblici di condivisione e celebrazione delle diversità culturali, festival delle arti (es. Afrobrix: cinema, musica, cucina, cultura materiale), laboratori di interculturalità, celebrazioni liturgiche e civiche, attività ricreative. Un aspetto particolare di questo ambito è il servizio con le seconde generazioni o i figli dei migranti.

Nel complesso, l’orizzonte ultimo di tutto questo lavoro è la crescita di una cultura dell’incontro, la costruzione di nuove comunità locali interculturali, che si trasformano attraverso il dialogo, lo scambio, l’accoglienza reciproca, la costruzione di relazioni significative nel rispetto della diversità, della dignità e della capacità di autonomia dei migranti.

Questo modello può funzionare se si verificano alcune condizioni come, ad esempio:

= inserzione nel territorio, con una rete di contatti e capacità di coinvolgimento di diversi attori e partecipanti alle attività proposte;

= la collaborazione con associazioni, ONG, autorità pubbliche e organizzazioni ecclesiali;

= spazi da condividere: in alcuni casi le case comboniane, divenute troppo grandi e costose, possono essere messe a disposizione di altri partner per un’accoglienza dei migranti, con la possibilità di un accompagnamento da parte di missionari anziani, ma ancora attivi. In altri casi, gli spazi comunitari possono essere aperti per dinamiche di incontro e dialogo, come ad esempio con Arte Migrante e Malankeba (iniziative di incontro di umanità e di culture in collaborazione con giovani ed associazioni).

= In ultima analisi, la chiave rimane comunque l’interesse, la creatività e la dedizione di missionari che si impegnano in questo ministero.

Ovviamente, le sfide e le difficoltà non mancano e questo è un aspetto importante, una sorta di “garanzia” di autenticità dell’impegno, che mantiene i missionari in un cammino di fede e di fedeltà al carisma. Nel caso dei progetti più strutturati, limiti legislativi e finanziari possono condizionare considerevolmente le attività, causando incertezze, dubbi e difficoltà. Non va trascurata la situazione anagrafica dei missionari, con una riduzione progressiva delle forze da investire e della capacità di accompagnare questi percorsi. Infine, la trasformazione epocale della società italiana e delle comunità ecclesiali pone la sfida del rapporto con il territorio e della capacità logistica e comunicativa di raggiungere e radunare partecipanti dispersi sul territorio.

I progetti di accoglienza ed integrazione variano notevolmente in quanto a strutture, dimensioni, risorse necessarie. Ci sono interventi che dipendono da bandi di concorso e finanziamenti di varia provenienza, mentre altri più semplici richiedono solo spazi, connessioni e buona comunicazione, oltre alle competenze per animare, accompagnare e collaborare con una ampia gamma di realtà del territorio. In ogni caso, una criticità evidente è il ricambio non solo generazionale, ma continuo di animatori laici.

2. Parrocchia con i migranti

Un secondo modello di presenza è quello della parrocchia personale14 iniziata negli anni ‘90. Si tratta di una forma giuridica prevista là dove esista una collettività immigrata che permane ed ha un ricambio nel tempo e dove la collettività immigrata conserva una rilevante consistenza numerica. È pensata per offrire i caratteristici servizi parrocchiali e fa riferimento soprattutto ai fedeli di recente immigrazione o stagionali e a coloro che per varie ragioni hanno difficoltà ad inserirsi nelle strutture territoriali esistenti.

Nel caso dell’esperienza comboniana di Castel Volturno, l’obiettivo è quello di aiutare gli immigrati, spiritualmente, pastoralmente e socialmente ad inserirsi sempre più, attraverso un processo di interazione-integrazione, nella realtà nella quale si trovano. E allo stesso tempo aiutare la comunità italiana ad aprirsi sempre più all’accoglienza e alla convivenza.

Questo impegno è caratterizzato da alcune strategie di fondo, cioè:

= La testimonianza di comunione e di accoglienza come comunità, protesa sempre al bene spirituale e materiale delle persone.

= Inserzione e interazione nelle realtà sociali presenti sul territorio, cercando sempre di creare ponti di comunione e di fratellanza dove il Vangelo rimane il punto di riferimento e il veicolo.

= Camminare assieme alla Chiesa locale in uno spirito di comunione e condivisione dei doni-carismi, per costruire una società e comunità dove si vive un’interazione armoniosa e ci si arricchisce gli uni gli altri, a partire dal rispetto delle diversità.

= L’animazione missionaria della Chiesa locale è una parte importante di questo servizio. La comunità comboniana è disponibile per animare le parrocchie proponendo giornate missionarie, testimonianze, incontri e ritiri di formazione missionaria con i giovani, sempre attenti alla realtà dell’immigrazione.

In collaborazione con altre congregazioni missionarie, sacerdoti e laici della diocesi, è stato avviato un centro missionario per sensibilizzare tutta la chiesa locale su tematiche missionarie, ecologiche e pastorali. Inoltre, la comunità accoglie giovani anche da altre parti d’Italia che vogliano fare un’esperienza missionaria come parte della loro maturazione umana e vocazionale.

= Una attenzione particolare ai giovani ed alle nuove generazioni, nella convinzione che loro porteranno avanti percorsi di interazione, inserzione e integrazione. Un punto qualificante è il coinvolgimento e il contributo di volontari e di una nuova generazione italiana.

Dopo tanti anni si sente il bisogno di far evolvere questo tipo di struttura pastorale nella direzione di una pastorale d’insieme, con una comunione che sa valorizzare l’appartenenza a culture e popoli diversi. Come suggerisce EMCC (43), una opzione sarebbe la parrocchia interculturale e interetnica, dove si cura allo stesso tempo l’assistenza pastorale degli autoctoni e degli stranieri residenti sullo stesso territorio. Secondo questo modello, la parrocchia tradizionale territoriale diventa luogo privilegiato e stabile di esperienze interculturali, anche dal punto di vista della fede, pur conservando i piccoli gruppi una certa autonomia.

Ad ogni modo, il modello della parrocchia personale è stato coniugato, sin dal 2001, con il modello del progetto di accoglienza ed integrazione, attraverso l’associazione Black&White e la collaborazione con il centro Caritas diocesano per l’assistenza ai migranti, che confina con la sede della parrocchia personale. L’associazione porta avanti varie attività, come il dopo scuola, la scuola di italiano, la sartoria sociale, l’asilo; ci sono anche varie attività sociali e ricreative. Il fatto di combinare il modello dell’associazione con quello della parrocchia personale permette di muoversi in maniera più articolata ed integrata sul territorio e nel contesto ecclesiale, ed a promuovere più efficacemente il lavoro in rete con la società civile.

Questa esperienza dimostra come sia sempre più difficile in Europa distinguere i confini tra animazione missionaria ed evangelizzazione. Come requisiti essenziali, inoltre, richiede una buona sintonia e collaborazione con la chiesa locale e competenze nella pastorale interculturale e nel ministero sociale. Tra le criticità riscontrate, infine, si segnalano la ghettizzazione delle comunità di diversa nazionalità, l’ambiente degradato da vari punti di vista (ambientale, socio-economico, ecc.) e l’irregolarità amministrativa di gran parte della popolazione, che concorrono a frammentare il tessuto sociale ed ecclesiale ed a ostacolare la formazione di un “popolo”, di una unità nella diversità. È la sfida di una chiesa chiamata ad essere sacramento di unità , superando divisioni e barriere attraverso il dialogo e l’accoglienza reciproca, per cui le diverse identità culturali si aprono a una logica universale, senza sconfessare le proprie positive caratteristiche, ma mettendole al servizio dell’intera umanità. (EMCC 34).

3. Cappellania di gruppi etnico-culturali

Un terzo modello di presenza nella pastorale migranti è quello di comunità missionarie che, tra gli altri ministeri, portano avanti un impegno di accompagnamento di gruppi di migranti cattolici dall’Africa o di seconda generazione italiana. Un’altra forma di questo punto di partenza è quella di un servizio nella Migrantes diocesana, che può essere anche coniugata con l’apertura all’accoglienza di breve termine di migranti negli spazi della comunità, come anche alla collaborazione con le chiese africane, attraverso l’accoglienza e orientamento di preti africani fidei donum.

La chiesa contempla una pastorale specifica dettata dalla diversità di lingua, origine, etnia e tradizione cristiana, che spesso impediscono l’inserimento dei migranti nelle parrocchie territoriali locali. Il valore di fondo è che ai tanti sradicamenti sofferti dai migranti non si deve aggiungere anche quello dell’identità religiosa (EMCC 44). Per questo, in presenza di gruppi particolarmente numerosi ed omogenei di migranti, la chiesa li incoraggia a mantenere la loro specifica tradizione cattolica. Tuttavia, tutto questo deve avvenire nel quadro di una profonda comunione tra i gruppi linguistici-culturali e le parrocchie territoriali, con un’azione per promuovere la conoscenza reciproca e il coinvolgimento degli immigrati nella vita della parrocchia (EMCC 50). Questo è l’orientamento pastorale che deve guidare il servizio con gruppi di fedeli immigrati, come, ad esempio, dall’Africa.

Il servizio con la Migrantes ricade negli orientamenti per la figura del cappellano o missionario dei migranti a livello diocesano (EMCC 75-78). A questo ruolo viene riconosciuta una autentica dimensione missionaria che si esplica attraverso l’uscire verso i migranti. Il servizio di animazione con la Migrantes dovrebbe prevedere anche lo sviluppo di centri pastorali per gruppi etnici, soprattutto centri di studio interdisciplinari, che raggruppino le materie necessarie all’elaborazione e all’attuazione della pastorale. Tali ricerche dovrebbero anche orientare gli studi seminaristici e quelli degli istituti di formazione nei centri pastorali ed essere direttamente utilizzate appunto nella preparazione degli operatori della pastorale migratoria.

Ciò che caratterizza questo modello di presenza e servizio è, per prima cosa, che ha il compito specifico di fare da ponte, di mettere in comunicazione la comunità di migranti con quella di accoglienza. Richiede competenza in comunicazione interculturale ed ha tre compiti principali:

= tutelare dell’identità etnica, culturale, linguistica e rituale del migrante;

= guidare il percorso di giusta integrazione che evita il ghetto culturale ed al tempo stesso evita la pura e semplice assimilazione dei migranti nella cultura locale;

= incarnare uno spirito missionario ed evangelizzatore.

In secondo luogo, è molto importante che questo servizio non sia visto semplicemente come un impegno individuale, ma come espressione di una comunità missionaria accogliente, empatica, capace di ascolto e dialogo, aperta. Non si tratta, infatti, solo di fare un servizio, ma di uno stile di vita, di una testimonianza che si fa predicazione eloquente, capace di impressionare anche i non cristiani di buona volontà (EG 69).

4. Comunità missionaria inter-congregazionale per la pastorale migranti

La prima esperienza in Italia di comunità inter-congregazionale per la pastorale migranti è stata avviata dalla CIMI (Conferenza degli Istituti Missionari in Italia) a Modica (Ragusa). Si tratta di una comunità mista inserita nel territorio e nella diocesi, che infatti ha messo a disposizione la casa (ex scuola dell’infanzia), interamente dedicata a questa pastorale. Si tratta di una presenza di fraternità, comunitaria e con i migranti, votata all’incontro con i migranti in un territorio di approdo delle migrazioni, che si fa solidale con gesti di accoglienza in emergenza e che si impegna in un lavoro di coscientizzazione della società a livello locale.

Tra le attività principali, la comunità porta avanti corsi di italiano per donne nord-africane, per ragazzi e giovani anche grazie alla collaborazione con molti volontari locali, che accompagnano ciascuno uno o due alunni, creando così conoscenza reciproca, fiducia e amicizia. Inoltre, la comunità collabora ad attività educative sul territorio con Caritas, Migrantes e associazioni locali. É aperta all’accoglienza di emergenza di breve periodo e si presta ad accompagnare i migranti nella richiesta di permesso di soggiorno e di assistenza sanitaria. Il rispetto nei confronti delle diverse religioni e la vita di fede della comunità favoriscono anche il dialogo interreligioso.

Questo approccio collaborativo è interessante per diverse ragioni: anzitutto sul piano della condivisione e fraternità, aspetto fondamentale della testimonianza e dell’accoglienza, a partire da una comune appartenenza ad un movimento missionario, che al di là della ricchezza di carismi diversi, ha anche una importante base di ispirazione e spiritualità in comune. Poi c’è anche l’aspetto della sinodalità, della condivisione di percorsi e risorse, che tra le altre cose rende possibile un progetto che le singole congregazioni non sarebbero in grado di portare avanti da sole per motivi anagrafici.

Tali limitazioni diventano un’opportunità per percorsi nuovi e significativi, che obbligano missionari e missionarie a rinnovarsi ed a cercare l’essenziale, nello spirito dell’Evangelii gaudium. Bisogna, ad esempio, crescere nella capacità di accoglienza, di lasciarsi mettere in discussione, di fare spazio alla diversità. La vita fraterna in comunità di arricchisce, ma richiede anche più impegno ed apertura, capacità di collaborazione. Per questo è anche una sfida e la sostenibilità dell’esperienza dipende dalla disponibilità di personale da assegnare a questa comunità missionaria, anche in considerazione della diminuzione del numero di missionari/e e del loro invecchiamento.

Questo modello, pertanto, è praticabile quando c’è un dialogo ed una comunione con la chiesa locale, una accordo tra congregazioni missionarie e un impegno convinto tra i loro membri, con disponibilità e capacità di adattamento. Linee pastorali consolidate e sottoscritte aiutano a dare continuità a questo approccio ministeriale: il riferimento rimane quello dei quattro verbi (accogliere, proteggere, promuovere, integrare) e quello degli elementi della pastorale interculturale.

Conclusione

Dall’insieme di questo quadro risulta che gli impegni della pastorale migranti possono avere diversi livelli di intensità. Da comunità completamente dedicate a questo ministero e progetti con bilanci economici importanti, ad attività circoscritte e a costo virtualmente zero, come ad esempio Arte Migrante e Malankeba!, ma non per questo meno significative. Questo significa che veramente questa pastorale specifica è stata assunta, nella pratica, dalla provincia. Resta la sfida di un cammino comune più interconnesso, meno frammentato, nel quale anche piccole attività e iniziative assumono un valore ed un significato molto più grande in quanto articolazione di un insieme molto più grande. Così anche comunità con forti limitazioni di personale e anagrafiche possono comunque partecipare e contribuire significativamente, secondo le proprie possibilità, al progetto provinciale d’insieme.

Si è anche visto che i quattro modelli di presenza nella pastorale migranti in vari casi si combinano, si completano a vicenda, creando sinergie. La presenza di linee guida pastorali ben consolidate e condivise costituisce una base fondamentale per la coerenza e l’interconnessione di questi percorsi. Inoltre, da queste esperienze impariamo anche che i grandi cambiamenti epocali e le crescenti limitazioni di cui i missionari stanno facendo esperienza, possono essere delle opportunità per una riqualificazione del servizio missionario sul territorio. Strutture divenuto ormai troppo grandi e costose, ad esempio, possono costituire spazi di condivisione e collaborazione con vari altri attori per una inserzione o sviluppo della pastorale migranti, come a Trento, Rebbio o, più recentemente, Venegono.

Le limitate forze a disposizione possono allora permettere una semplice presenza missionaria, una possibilità di incontro e sollecitudine ministeriale senza dover portare il peso, che potrebbe essere insostenibile, della responsabilità di progetti complessi e costosi. Dove invece le energie ci sono ancora, la condivisione degli spazi mette la comunità missionaria nella posizione di un accompagnamento informale e di fare da ponte fra vari partner – pubblici, civici ed ecclesiali – per una collaborazione sul territorio. L’accoglienza dei migranti diventa così il punto di partenza per una rinnovata presenza sul territorio, alimentando reti e collaborazioni.

Ci sono poi interessanti connessioni tra pastorale migranti e pastorale giovanile, attraverso iniziative come campi giovani con i migranti e altre iniziative come Arte Migrante, Malankeba! ed il lavoro con le nuove generazioni italiane. Tale connessione è importante anche in considerazione delle crescenti difficoltà ad accedere ai giovani sul territorio a seguito del profondo cambiamento socio-culturale ed ecclesiale in moto da diversi anni.

Altro aspetto non trascurabile, la pastorale migranti incoraggia e promuove la sinodalità e l’animazione missionaria, non solo tra le comunità comboniane, ma anche con le chiese locali e i vari agenti pastorali e missionari. Si tratta anche in questo aspetto di una opportunità di crescita a partire da una realtà ecclesiale in rapido cambiamento.

Bisogna infine sottolineare che la presenza di linee guida consolidate, di competenze ben definite, di modelli complementari e di uno stile collaborativo e di lavoro in rete offre la possibilità di promuovere sistematicamente percorsi di formazione sia per permanente che di base a beneficio della qualità e della continuità del servizio in questa pastorale specifica. Oltre all’aspetto formativo, va sottolineato anche quello comunicativo, di fondamentale importanza per una pastorale che propone nuove narrazioni delle migrazioni e della mobilità umana. La collaborazione della pastorale migranti, attraverso le comunità locali, con Nigrizia ed altri canali locali risulta pertanto una componente imprescindibile di questo ministero.

Documenti di riferimento

Concilio Vaticano II. (1965). Gaudium et spes.

______________ (1965). Lumen gentium.

Dicastero per il Servizio allo Sviluppo Umano Integrale – Sezione Migranti e Rifugiati. (2018). Verso i patti globali sui migranti e sui rifugiati.

______________ (2019). Orientamenti pastorali sulla tratta di persone.

______________ (2020). Orientamenti pastorali sugli sfollati interni.

______________ (2021). Orientamenti pastorali sugli sfollati climatici.

______________ (2022). Costruire il futuro con migranti e rifugiati.

______________ (2022). Orientamenti sulla pastorale migratoria interculturale.

Francesco. (2013). Evangelii gaudium.

______________ (2017). Migranti e rifugiati: uomini e donne in cerca di pace. Messaggio per la 51a Giornata Mondiale della Pace 2018.

______________ (2020). Fratelli tutti.

Missionari Comboniani. (2015). Atti Capitolari.

______________ (2022). Atti Capitolari.

Missionari Comboniani – Provincia italiana. (2018). Carta Migrantes.

Pontificio Consiglio della Pastorale per Migranti e Itineranti. (2004) Erga migrantes caritas Christi (La carità di Cristo verso i migranti).

1EMCC (No. 4) presenta in prospettiva storica il cammino della chiesa, toccando i passaggi fondamentali come la Exul familia (Pio XII, 1952), considerata la Magna Carta del pensiero della chiesa sulle migrazioni; o la lettura che ne fece il Concilio Vaticano II (soprattutto la Gaudium et spes, 1965), il motu proprio Pastoralis migratorum cura (1969) di Paolo VI, quindi la lettera circolare Chiesa e mobilità umana della Pontificia Commissione per la pastorale delle migrazioni e turismo (1978), i contributi di Paolo VI e Giovanni Paolo II per le giornate mondiali dei migranti e rifugiati.

2Per quanto riguarda le strutture pastorali, invece, c’è stata una certa evoluzione, non ultima quella decretata dalla dalla costituzione apostolica Praedicate evangelium (2022).

3EEMM (N. 8) mette in evidenza che le migrazioni internazionali sono una importante componente strutturale della realtà sociale, economica e politica del mondo contemporaneo, e sono un fenomeno che solleva la questione etica della ricerca di un nuovo ordine economico internazionale per una più equa distribuzione dei beni della terra.

4EMCC sottolinea che la globalizzazione ha aperto i mercati e chiuso le frontiere, cercando di contrastare fattori di mobilità come i cambiamenti demografici, le ineguaglianze tra Nord e Sud del mondo, la proliferazione di conflitti e guerre civili, il terrorismo. Nel magistero recente si sottolineano anche altri fattori, come ad esempio i cambiamenti climatici ed il fatto che tali fattori siano collegati (“tutto è interconnesso”).

5LG 1 afferma che la chiesa «è, in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano».

6Cf. Orientamenti sulla pastorale migratoria interculturale.

7Ibidem.

8Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale – Sezione migranti e rifugiati. (2018). Verso i patti globali sui migranti e sui rifugiati, p. 9.

9Cf. Verso i patti globali sui migranti e rifugiati.

Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale – Sezione migranti e rifugiati. (2020). Orientamenti pastorali sugli sfollati interni.

________________ (2021). Orientamenti pastorali sugli sfollati climatici.

10Cf. Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale – Sezione migranti e rifugiati. (2022). Costruire il futuro con i migranti e i rifugiati.

11Cf. Costruire il futuro con migranti e rifugiati.

12Cf. Orientamenti sulla pastorale migratoria interculturale.

13Cf. Ibidem.

14Cf. EMCC 91.

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