Pubblichiamo, di seguito e senza nessuna aggiunta, le reazioni al testo “Istituti Missionari in Europa, che futuro?” pervenute all’autore. Lo scopo è riconoscere il contributo dei confratelli e promuovere la riflessione e la condivisione sul tema.
1.- Radicamento e collaborazione
(…) La questione del radicamento e della collaborazione nostre nelle chiese locali.
Dal 1998 al 2008 sono stato membro della comunità di Milland/Bressanone.
La mia impressione è stata: se non hai una preparazione un po’ specifica e non sei preparato per offrire qualche contributo a un livello un po’ alto, non trovi spazi per farti conoscere o per collaborare eccetto nella pastorale parrocchiale domenicale.
La mia impressione è che a molti di noi manca una preparazione dal baccalaureato in su per poter alzare la voce nelle diocesi (in capitolo). Oggi ci sono tanti uomini e donne in diocesi (di Bressanone) ben preparati e specializzati in tante materie religiose, ecclesiali, sociali ecc. che noi (comboniani di strada – con i semplici studi di teologia) non riuscivamo a competere con il personale in diocesi. Il nostro Padre Hans Maneschg è preparatissimo (Laurea in Sacra Scrittura) ma ha ormai ottant’anni. In generale manca a noi comboniani una preparazione adeguata a far sentire la nostra voce.
Ho voluto condividere questo mio pensiero perché ho sempre avuto l’impressione che come Congregazione non abbiamo fatto abbastanza in questo campo. Come vedi, mi hai provocato nel senso buono. Poi: la nostra lunga assenza dalle chiese locali europee o una presenza solo di qualche anno fa difficile conoscere in profondità la realtà locale ecclesiale, sociale ecc.
P. Alois Eder, mccj
2. Incidenza e riflessione
(…) Faccio alcune osservazioni al texto:
1. D’accordo sull’ esaurimento carismatico. C’è poca incidenza nell’evangelizzazione e in una apertura che supera il provincialismo: poca incidenza dell’animazione missionaria; troppa socialità e economia. La promozione vocazionale è scomparsa. Anche nelle riviste non vengono presentati i testimoni, nonostante gli esperti in comunicazione hanno sottolineato questa necessità.
2. L’analisi dell’età a livello nazionale vale solo se si tiene conto di tutti i membri della nazione e non solo quelli nelle province. la destinazione alle province è occasionale. La vera realtà e quindi il valore c’è solo se si contano tutti.
3. Ottime le osservazioni e critiche sul contesto sfidante. Interessante la dimenticanza di Evangelii Gaudium (…).
4. D’accordissimo sulle osservazioni di Papa Francesco sulla storia e la memoria… Se si perdono le fonti e la storia si costruisce sulla sabbia…. e si perdono grandi valori. Manca anche una riflessione sulla nostra presenza nelle missioni (…) come anche la riflessione sulle parrocchie in Europa merita di essere fatta.
5. Sono d’accordo con le proposte e la conclusione.
P. Venanzio Milani, mccj
3. Fundamento Espiritual
Hoy he abierto el texto. Doy gracias. Es una reflexión sobre la cual estoy en muchas conclusiones de acuerdo:
1. El intercambio fructífero entre movimientos e institutos se sigue haciendo de manera individual y sin apenas influencia parece al instituto como tal. Es mi caso, que he comprendido Comboni y la importancia de su gran intuición de querer unir todas las fuerzas de la iglesia para “atacar” lo que para muchos era un ataque condenado al fracaso y Comboni pagó esto con desprecio y calumnias hasta el final de su vida… Esto de la unión es también la gran intuición de Chiara Lubich y de Schönschatt…
2. La devoción al Corazón de Jesus. En los 6 artículos que me han pedido sobre los 80 años de la provincia de Peru hablé de la refundación de los dos institutos con nuevos estatutos con nuevo nombre (cuanto costó encontrarlo y luego justificarlo. Ver apéndice en la RV de los dos PP. Generales). Por eso la espiritualidad del corazón de Jesús, y diría con Comboni, y de María es la vía que muestra el camino al futuro.
3. Fundamentación Biblica. El libro del P. Heer su tesis doctoral “der Durchbohrte” con el subtitulo “Johanneische Begründung der Herz-Jesu-Verehrung” sería la fundamentación bíblica que parece no entró con lo que el VAT. II proponía porque borraba con antiguas formas que se habían vuelto “ceniza” para hablar con tu articulo y los jesuitas que querían iniciar una nueva serie de libro sobre la espiritualidad del corazón de Jesús – el libro del P. Heer sería el inicio de la serie – desistieron de tal proyecto y la misma compañía se orientó con P. Arrupe por nuevas metas – nueva espiritualidad fecunda, re-fundación llamada de algunos – pero con la biblia y la profundidad de evangelista Juan con su traspasado no puede ser pasado por alto por nadie que quiere renovarse pues “miraran al que traspasaron”.
4. Papa Francisco. Y el Papa Francisco es fiel a este corazón como los antiguos jesuitas y propone a la iglesia el nuevo camino con FRATELLI TUTTI; con GAUDETE Y EXULTARE, AMORIS LAETITIA y para nosotros fundamental EVANGELII GAUDIUM.
P. Luis Weiss, mccj
4.- Problema Vocazioni
Ho letto tutto d’un fiato il testo ricevuto sugli Istituti Missionari e la questione delle vocazioni in Europa. Non vorrei sbagliare, ma avendo lavorato nel GIM di Padova, (assieme a p. Danilo Volontè e Sr. Emerenziana, loro con esperienza brasiliana e io una ciadiana molto breve ma con tre anni da cooperante) ho pensato in quelli tre anni (circa) con una presenza di giovani che frequentavano quasi tutti l’università o per lo meno “studenti,” visto che Padova è città riconosciuta per studi. Dal quel gruppo partirono per la formazione, fr. Parise Alberto, fr. Degan Alberto, fr. Nicola … (che dopo l’esperienza in Sud-Sudan è uscito dall’istituto), Sr. Monica, Sr. Lucia, Sr. Loredana, tra loro cera anche un giovane studente che dopo fine studi entrò in postulato, oggi p. Baccin Lorenzo.
Perché ho scritto questo? … io credo nella promozione vocazionale solo se noi ci adattiamo al “terreno” dove si lavora (…).
Già dieci o più anni avevo espresso il mio pensiero, ma alcuni confratelli, purtroppo sacerdoti, mi presero in giro, ricordandomi che quello che proponevo era superato; a dire il vero loro, per quanto mi risultava, non avevano mai lavorato nella promozione vocazionale ma piuttosto nella promozione di “progetti” (spesso progetti personali), e quindi girare per le parrocchie succhiando offerte da portare in missione.
Adattarsi al terreno significa inserirsi nelle parrocchie, tenendo presente la situazione di oggi dove la missione è oramai inserita nelle parrocchie (vedi gemellaggi parrocchia-progetto-missione; molte diocesi si accaparrano preti di altri paesi del Africa, Asia e di seguito questi preti invogliano poi giovani e meno giovani a visitare i loro villaggi facendo presente le loro difficoltà. Mentre io ero in missione un gruppo della mia parrocchia era andato in Camerun paese del prete che serviva la parrocchia mentre faceva gli studi a Milano).
La mia proposta era: i comboniani (in particolare preti) in accordo con il vescovo locale, possono essere “vicari” in una parrocchia; se sono vicari di parrocchie hanno occasione di incontrare giovani quotidianamente.
Anche i missionari anziani autosufficienti (vedi Rebbio, Brescia, ecc.) avrebbero un ruolo nelle confessioni e visite agli ammalati … senza pretendere la ricompensa assicurata; bisogna lavorare e il buon Dio che vede a suo tempo (che non è mai il nostro tempo) saprà ricompensare. A questo riguardo, se ben ricordo un vecchio missionario che si donava alle confessioni incontrò una anziana signora che regolarmente si confessava da lui, la signora le diede una piccola somma per celebrare delle messe in missione. Un giorno (come sarà per tutti) la signora anziana andò in cielo e con sorpresa aveva lasciato nel testamento un lascito al padre confessore che ripagava molto di più di ciò che si poteva aspettare (ricompensa del Signore).
In queste ultime settimane è stato proiettato il film su Chiara Lubich, ebbene un fatto simile è avvenuto, il gruppetto di compagne di Chiara avevano in dispensa tre uova, sarebbero state per il loro pasto, una povera donna bussò e chiedeva se le davano un uovo e Chiara le diede tutte e tre. All’obbiezione di una di loro Chiara diede una risposta, che adesso non ricordo, fatto sta le uova andarono per la signora che era nel bisogno, ma di li a poco entra un’altra compagna tutta contenta perché una persona per strada gli aveva regalato un cestino di uova (Providenza).
Concludendo, quando ci sono preti in casa, mentre fuori ci sono persone (dalle più anziane ai giovani) da incontrare, credo che manchiamo al nostro carisma di annuncio; oggi la missione si trova “nella porta accanto”.
Fr. Alberto Visentin, mccj
5.- Deriva dell’Istituto
Carissimo Padre, sto per spedirti alcuni documenti elaborati dal sottoscritto, con l’avallo di altri confratelli, riguardanti una battaglia che sto portando avanti contro la deriva dell’Istituto promossa da un gruppo di “intelligenti” comboniani che vorrebbero che ci dedicassimo tutti alle opere socio-economico-politiche, vale a dire a trasformarci in una poderosa (!) ONG, mettendo da parte la nostra RdV N°13, che esprime in maniera non negoziabile la finalità (identità) della nostra Congregazione.
Sono rimasto felicemente sorpreso dal documento intitolato: Gli Istituti Missionari in Europa: quale futuro?
Ne condivido pienamente il contenuto nella speranza che l’attuale Amministrazione Generale e il prossimo Capitolo, raddrizzino questa evoluzione perversa promossa da un gruppetto di comboniani che si sono impossessati del potere dato a loro dalla funzione che esercitano in alcuni Segretariati, e sono all’opera per orientare il prossimo Capitolo secondo la loro visione parziale del nostro carisma. Nei 5 documenti troverai delle ripetizioni, ma non farci caso; cerca di cogliere i messaggi più essenziali. Ti informo pure che tempo fa inviai gli stessi documenti, in tempi diversi, a vari dei Superiori Maggiori e Consiglieri e Segretari, con nessuna pretesa, se non quella di bloccare questa brutta deriva. Ho fatto 42 anni di Africa (Burundi, Malawi e Zambia) e sono felice sia come sacerdote (60 anni) sia come missionario. Spero di morire in un Istituto autenticamente Comboniano.
P. Anastasio Tricarico, mccj
6.- Partilhando pensamentos
1.- Como escrevi logo após ter recebido o texto, eu o encaminhei para os confrades que trabalham na Polônia. O pe. Pawel que agora acompanha a formação permanente aqui me prometeu organizar um encontro de duas comunidades para dialogar sobre o texto. Com a pandemia e todas as restrições e as mudanças nas nossas duas comunidades se adiou um pouco, mas espero que em breve possamos voltar ao tema e lhe dar um feedback.
Eu mesmo li o texto e me pareceu muito interessante, profundo, bem elaborado e desafiador. Além disso descreve a realidade que toca especialmente nós que vivemos na Europa. Por isso gostaria de partilhar alguns pensamentos que me vieram à mente.
2.- A primeira reflexão que eu tive enquanto estava lendo e que você sugeriu, que na verdade se deve ver a situação do nosso Instituto olhando também outros Institutos Missionários. Eu queria na mesma linha ver o futuro da presença comboniana na Polônia. No ano de 2020, passaram já trinta anos da presença comboniana nesta terra. Talvez no início se pensasse que os frutos viessem mais abundantes, seja quanto ao número dos combonianos nativos como também ao impacto sobre aquela Igreja pouco missionária (a meu ver). Neste momento temos 13 combonianos polacos, mas o mais novo já passou 40 anos nestes dias e não tem nenhum candidato na fase formativa (os demais saíram, os últimos dois 4 anos atrás). Então estamos um pouco na linha de outras províncias combonianas, mesmo que com a faixa de pessoas diferentes. Os primeiros anos são sempre difíceis. As nossas raízes talvez ainda bastante frágeis nesta terra. A questão de identidade exige de tempo, de apoio da Igreja toda. O que me falta nesta igreja polaca é uma sensibilidade social. Quer dizer, outra sensibilidade social, que podia e devia substituir aquela que após a queda do muro de Berlim desapareceu. A Igreja polaca que era muito sensível nas questões de injustiças provocadas pelo comunismo, pois viveu tanto tempo com isso, até se fortaleceu com isso sendo um refúgio para muitas pessoas, mas com a chegada do liberalismo ficou pelo menos dividida. Como falta a essa Igreja uma certa sensibilidade quando morrem pessoas na porta da Europa pedindo de entrar. Como está calada, ou melhor dizer dividida, pois tem uma menor parte que partilha o pensamento do Papa Francisco. Mas ainda muitos chorando a morte do papa João Paulo II…
3.- Estava, porém, pensando em outras congregações que estão aqui na Polônia (SMA, Consolata, Padri Bianchi) que têm características parecidas conosco. Uma coisa me deu pra pensar… Por exemplo: os combonianos e os SMA chegaram quase ao mesmo tempo à Polônia, quando terminou o comunismo e as fronteiras abriram. O número dos SMA é o dobro do nosso. E quem é mais conhecido na Polônia, acho somos nós e não eles, por causa da nossa Revista e de alguns padres no início, carismáticos e característicos, que são lembrados ainda hoje nas paróquias onde visitamos. A metodologia dos SMA foi, porém, diferente desde o início. Eles mandaram aqui só um padre, irlandês, que após alguns anos, quando chegaram já os primeiros padres polacos deixou definitivamnete a Polonia e tudo nas mãos dos polacos. Eles nunca mais mandaram um estrangeiro. Com certeza a vida deles é mais pobre, no sentido menos intercultural, sem terem outras nacionalidades aqui. Não tiveram a Revista que chegava a tantas paróquias e pessoas com a nossa. Mas hoje tem mais membros nativos. Os Padri Bianchi são poucos, talvez menos de nós, chegando no mesmo tempo. Ainda hoje dependem bastante da Cúria deles, tem somente uma comunidade. Os últimos chegados (ano 2008) são os Missionários da Consolata. Estes lembro bem pois estavam conosco um ano, antes de comprar uma casa. Hoje, porém eles têm duas comunidades, por enquanto todos estrangeiros, mas bem inseridos na nossa realidade. Às vezes nos encontramos, até a pandemia uma vez por ano. A finalidade era nós nos conhecer e ajudar reciprocamente e ter um trabalho comum, missionário na Polônia. Infelizmente não conseguimos praticamente nada em comum. Talvez cada Instituto fosse mais interessado por si mesmo… Outros Institutos Missionários, como por exemplo os Verbitas ou os Oblatos, eles têm aqui outra característica, pois não chegaram com a queda do comunismo, mas tinham trabalho paroquial e outro também, por conseguinte, não obstante diminuíram as vocações, mas ainda têm.
4.- Nós aqui, por vários motivos, não assumimos nenhuma paróquia (mesmo que nos últimos anos está se pensando nisso com uma certa insistência do CG), nem outro trabalho específico, como com migrantes ou outros mais pobres. Pode ser que isso também, a um certo momento, foi motivo de um exaurimento do grupo, de um certo desânimo, até uma certa crise. Quando no início do século, de repente saíram dois padres e quase todos os postulantes (num ano tinha até mais de 20 postulantes ao mesmo tempo). Pode ser que não percebemos as mudanças rápidas da Igreja. Estas mudanças em outros países europeus demoraram mais para acontecer. A morte do papa João Paulo II, também foi um fim de uma certa época. Embora a fama dele ainda seja muito forte e alguns anos atrás ninguém (nem os ex- comunistas – se queriam ter um pouco impacto no governo) podia falar mal do Papa JPII, hoje a situação mudou.
5.- Temos que ter presente a onda das denuncias sobre a pedofilia na Igreja. E quando falamos do futuro não podemos deixar isso de lado. Aqui na nossa terra é o tema que está destruindo a Igreja, e nós missionários somos parte dela. Até quando isso não for resolvido, a Igreja vai sangrar. (na Polônia teve bastante repercussão o caso do recém falecido cardeal Gulbinowicz e alguns bispos que encobriam a pedofilia dos padres. Estes bispos foram nomeados ainda pelo papa João Paulo II, daí saiu até uma questão de “decanonização” de JPII!).
6.- Outra coisa, que talvez não existisse em outros países é a colaboração dos padres e bispos com a Polícia Secreta durante o comunismo. A Igreja polaca nunca falou disso claramente, porque deixou sob o tapete o problema, apesar de provas e acusações, e alguns bispos ainda estão exercendo suas funções sem nenhum problema.
7.- Como toda a Europa, nós estamos também num rápido processo de secularização. Eu diria mais ainda, da parte dos jovens a rejeição da Igreja é forte. Os dados mostram que a maioria dos jovens não somente não vão à Igreja, mas vêem ela como uma instituição que atrasa o desenvolvimento e a liberdade das pessoas. As últimas manifestações nas ruas, após a liberalização da lei sobre o aborto mostram uma ira das pessoas envolvidas nas demonstrações, pois acusam (e a meu ver eles têm pelo menos um pouco de razões) a união da Igreja com o Governo atual. Antes ou depois teremos que pagar um preço por isso. Não se pode não mencionar a influência que tem a famosa Rádio Maria, todo o apoio que esta Rádio concentra e ao mesmo tempo muita rejeição da parte mais nova da sociedade. Como nós podemos nos achar neste contexto eclesial?
8.- No artigo fala-se do processo positivo que está acontecendo com o papa Francisco. Nós o vemos aqui da mesma maneira. Mas tenho impressão de que tenha muita não aceitação para não dizer rejeição deste Papa entre o clero. Isso é um “problema” no nosso trabalho pastoral quando nos deparamos com muitos padres não aceitando o ensinamento do Papa Francisco. Para os institutos missionários é um desafio poder claramente passar a nossa postura, chegar ao povo, especialmente aos jovens que almejam uma Igreja renovada.
9.- Tem outro aspecto que você tocou e que estamos vivendo: a pandemia. Antes dela havia aqui ainda muitos praticantes, em torno de 40% todos os domingos participavam da celebração dominical. Após a pandemia, todos dizem que vai ser diferente. Eu acredito que temos que nos preparar já para isso. E a preparação deve ser em vários sentidos, também aquele econômico. As províncias combonianas na Europa (mesmo que os 70% do dinheiro esteja na Europa e nos EUA) começaram a sentir o problema econômico. Para nós aqui sempre isso foi um problema, pedindo a DG uma ajuda cada ano. Como vamos trabalhar? Sempre pensando na sobrevivência? Fizemos até alguns projetos para poder ter um futuro mais previsível e por isso concentrar o nosso trabalho segundo o nosso carisma e não pensando tanto no autosustentamento.
10.- Sempre dizia e acredito que a presença comboniana na Polônia pode ter futuro. Precisamos de pessoas empenhadas, capazes e apaixonadas por Jesus Cristo e pela missão que possam mostrar aos jovens e velhos que a nossa vida tem sentido. Com uma certa inveja, olho as congregações aqui que ainda conseguem ter bastante vocações. Por exemplo, os jesuítas e dominicanos conseguem vários candidatos. Claro, eles podem ver os jovens na televisão, nos meios de comunicação. Não sei se a proposta deles é melhor. Ou a vida deles é mais atraente? Pode ser que precisamos ainda mais criar a nossa identidade, a nossa especificidade, a nossa proposta mais ousada. Sim, temos bastante (com relação ao resto da Europa) dos leigos interessados, vários já enviamos em missão. A meu ver eles podiam e deveriam se tornar os nossos mais próximos colaboradores. Isso seria conforme o projeto do nosso Fundador, uma coisa específica nossa na Polônia, mesmo com dificuldades pois vários padres não deixam os leigos falarem na igreja ainda hoje. Eu sempre os apresento como missionários, e não como voluntários. Eles poderiam talvez, com a nossa ajuda mostrar o trabalho de promoção humana que faz parte do anúncio e é a nossa característica comboniana. Recuperar o que está muito escondido ou até esquecido. O trabalho de “cáritas” sempre teve. Mas o trabalho de justiça que teve no tempo do comunismo deveria recuperar a sua dimensão e achar o seu lugar na nossa Igreja hoje. Somos poucos, mas em colaboração com outros isso poderia fazer a nossa marca, nossa característica na Igreja da Polônia. E esperamos também uma ajuda concreta da parte do Instituto. O Instituto deve olhar também para os pequenos, insignificantes como somos aqui em relação a toda a Congregação e deixar os jovens combonianos polacos que dêem força na sua terra natal nestes anos difíceis para todos. Assim, acho foi nos primeiros anos de Portugal, Espanha, etc…
11.- Espero não ter aborrecido você com estes pensamentos um pouco caóticos que escrevi. Esperamos nos encontrar como grupo que trabalha na Polônia em breve e o secretário da formação vai escrever o que o grupo pensa. As propostas que o texto faz são interessantes, mais viáveis para as províncias maiores talvez. Mas até com o percurso deles nós podemos aprender alguma coisa. Com certeza não podemos não refletir, não pensar, não planejar e antes de tudo não rezar, pedindo a Deus que mostre para nós o melhor caminho. Ele que é o Senhor do futuro está fazendo a parte Dele, mas quer que nós façamos a nossa.
P. Tomasz Marek, mccj
7.- Dificuldade de enraizamento
Li o texto sobre a dificuldade de enraizamento dos combonianos na Igreja da Europa. (…) Agradeço. Vou enviá-lo hoje aos confrades em Portugal, esperando que ajude muitos de nós a reflectir seriamente. É claro que um instituto missionário sem eficácia apostólica não consegue enraizar-se na Igreja local, e daí também a ‘falta de vocações’.
Penso que o nosso problema não está principalmente na incapacidade de encontrar estratégias mais acertadas de enraizamento.
Tenho a impressão que alguns dos esforços que fazemos para estar presentes de maneira significativa na Igreja e sociedade europeia (campanhas na linha da Justiça e paz, imigrantes, refugiados, dívida internacional, comércio das armas…), com todo o bem que podem fazer, mostram uma certa tendência mais a ‘cavalgar a última onda’ para ‘ganhar audiência’, e por isso passamos de uma campanha para a outra sem grande dificuldade. Sintoma, talvez, deste problema, como tu notas no teu escrito, fala-se muito de ‘ministério social’ e pouco ou nada de ‘evangelização’.
O nosso esforço, creio, devia ir mais no sentido de compreender bem as ‘novas periferias’ para dar o nosso contributo específico como religiosos missionários combonianos à Igreja local que procura anunciar e testemunhar o evangelho enfrentando esses desafios concretos.
Fiquei muito impressionado quando, do questionário feito aos jovens em contacto connosco na Europa, a especialista salesiana que analisou as respostas concluiu que os jovens cristãos na Itália olham para os combonianos como “missionários que se dedicam aos imigrantes”. Ela nos disse claramente que os jovens se apercebem muito pouco, ou nada, da nossa dedicação a anunciar o evangelho, da nossa vida de consagrados, da nossa vida e trabalho em comunidade, … A questão das ‘vocações’ é clara: para trabalhar em favor dos imigrantes, refugiados ….. não é preciso ser religioso/a nem missionário. E muitas outras organizações o podem fazer tão bem ou melhor do que nós.
Penso que precisamos de ‘re-apropriar’ o dom carismático que recebemos (uma nova compreensão do evangelho que leva a uma maneira de viver em comunidade e a uma maneira de colaborar com a Igreja no anúncio do evangelho, em ‘lugares’ humanos e geográficos a que damos preferência) e discernir as modalidades concretas para colocarmos o dom carismático-apostólico que recebemos ao serviço da missão da Igreja (ministerialidade). Neste sentido, falar só de ‘ministerialidade social’, parece-me tristemente redutivo.
Estas ideias, talvez não muito ordenadas, são só um esforço para continuar a reflectir sobre o que nos está a peito.
P. Fernando Domingues, mccj
8.- Profonda trasformazione
(…) Approfitto per esporre qualche mia considerazione riguardo il testo.
Perché l’argomento m’interessava già dai tempi in cui ero superiore di Scolasticato.
Allora (eravamo negli anni ‘80) io sognavo di proporre agli scolastici in arrivo:
o continuare sul cammino del sacerdozio per una vita missionaria classica,
oppure restare religiosi, cioè “fratelli”, e aprirsi a un cammino missionario nuovo,
studiando medicina, o agronomia, o simili.
L’idea era di creare un’alleanza con le organizzazioni laiche che sorgevano all’epoca,
soprattutto qui in Francia: “médecins sans frontières”, “médecins du monde”, o simili.
La Chiesa avrebbe potuto essere un aiuto eccezionale per questi movimenti nuovi.
Mentre per loro era aprirsi a una nuova visione della Chiesa, abituati come sono a
condannarla in blocco, in nome della “laicità”, della modernità, ecc.
Naturalmente il mio è rimasto un sogno: la Congregazione aveva già avuto quest’idea,
e si denunciava allora una crisi d’identità tra sacerdozio e professione medica.
E poi… a quell’epoca si viveva di “carisma comboniano”, di “Cuore trafitto” …
Insomma, per parlare chiaro, il nostro limite era una visione del mondo e della Chiesa
vissuta in termini troppo clericali.
Ancora oggi, se parli così susciti scandalo in Congregazione.
Il problema entra in un discorso molto più vasto, che riguarda sicuramente un’apertura
del mondo alla Chiesa, ma soprattutto è la Chiesa che deve aprirsi al mondo.
Ci vorrà ancora molto tempo e pazienza!
In questo frattempo la Chiesa passerà per una profonda trasformazione delle sue
strutture: Gerarchia, Vita religiosa, ripensamento della Fede in dialogo col mondo, ecc.
Lo Spirito del Signore ha molta carne sul fuoco…!
A noi incombe il compito di ripensare la Fede come Comunione di fratelli nel Cristo
e attenzione all’opera dello Spirito. Che ci porterà lontano!
La Congregazione comboniana passerà alla storia come un episodio della gloriosa
epopea missionaria della Chiesa nell’epoca moderna.
Quanto a ripensare il nostro ruolo in questi tempi, che dire?
Il popolo di Dio non produce più una vocazione alla missione…
Abbiamo provato in questi anni a riflettere sulla Missione, sulla Regola di vita…
abbiamo sognato di rifondare la Congregazione…
Sono sogni! Come i miei di anni addietro!
Noi, comboniani europei, proviamo a riaffermare la nostra speranza e poi
accettare di morire con dignità, come altre, vecchie strutture della Chiesa.
Proviamo invece nei nuovi continenti ad aiutare le giovani Chiese e darsi i loro
pensatori, diciamo pure i loro Padri della Chiesa.
Queste giovani Chiese hanno comunque prodotto dei virgulti nuovi,
proviamo a dar loro fiducia e tempo per esprimersi.
Preghiamo perché siano segno dello Spirito che lavora nei cuori.
Questa è la nostra speranza. Ecco il mio apporto alla inchiesta.
Con fraterno e cordiale pensiero.
P. Luciano Benetazzo, mccj
9.- Grande Insónia
Ao ler o texto, imaginei que grande insónia teve (o autor) para escrever aquilo tudo: No so che pesce pigliare!…
Os caminhos do Senhor são tantos!
Quem conhece o íntimo da história do Instituto?
Deus sabe tirar o bem mesmo do mal.
Muitas grandes obras tiveram como protagonistas pessoas pouco ligadas a um certo estilo de ser comboniano. Mas que obras? Mas que estilo?
Confiemos no Senhor, e façamos o que depende de nós para que o melhor do carisma comboniano continue a ser útil para a Igreja e para Mundo. Amen.
P. Manuel dos Anjos, mccj
10.- Mudança de Época
Obrigado pela reflexão partilhada. Longa, mas de leitura fácil. Suscitou-me três pensamentos.
1. O renascer missionário do século XIX faz parte do grande despertar da Europa para a realidade da África profunda expresso na instituição das sociedades de geografia, nas viagens de exploração do continente. Conheciam as crateras da Lua, mas não conheciam o interior da África. Comboni colaborou com os seus mapas e informações com algumas sociedades geográficas. Também como forma de financiamento.
2. Nas pistas para o futuro há também a intercongregacionalidade, o sonho primeiro de Comboni de congregar os esforços de institutos e indivíduos em relação à salvação da África. O desafio de deixar o protagonismo congregacional e fazer um verdadeiro trabalho eclesial: juntos pela missão — como Solidarity with South Sudan.
3. Vivemos uma mudança de época também a nível dos atores da missão. Stephen B. Bevans e Roger P. Schroeder, dois verbitas, escrevem em “Diálogo profético – reflexões sobre a missão cristã hoje”: “A missão, hoje em dia, também é executada em grande parte por mulheres e homens leigos, muitos deles em ações de curto prazo que duram de uma semana (de médicos que vão ao Haiti) a vários anos (a Sociedade dos Fiéis de Maryknoll, que se inscrevem para uma jornada de cinco anos, renovável indefinidamente). Em certa medida, o trabalho missionário mais significante nos dias de hoje é feito por leigos nessas ações mais breves – tanto que poderíamos chamar os dias de hoje de a era dos Missionários Leigos de Curto Prazo.”
P. José Vieira, mccj
11.- Cambiar de “chip”
(…) Ahora quiero hacer unos pequeños comentarios al artículo sobre Europa.
1) Es evidente que la situación en Europa cambió radicalmente, aunque nos cuesta darnos cuenta y, sobre todo, cambiar de “chip”. Seguimos pensando en Europa como hace cuarenta años, cuando había muchos jóvenes en una Iglesia muy viva. Eso ya no es así. Europa necesita un nuevo impulso misionero, pero me temo que nuestro carisma y, sobre todo, nuestra tradición no nos prepara para esta nueva situación en Europa. Puede que la realidad de los migrantes sea un punto de enlace entre nuestra tradición y los nuevos desafíos misioneros de las próximas décadas, siempre que no consideremos este grupo humano como un simple destinatario de nuestra acción social, sino como una oportunidad histórica para renovar la sociedad europea social, cultural y religiosamente. Es cierto que la animación misionera tradicional (con sus revistas, sus campañas de ayuda a los pobres, su propuesta de JPIC), sigue siendo válida en buena parte, pero no me parece una tendencia de futuro para la Misión.
2) El hecho más decisivo desde el punto de vista de los institutos misioneros es la ancianidad de los miembros. Eso implica que, por edad y por experiencia misionera, tendemos a repetir nuestros esquemas del pasado. Es difícil soñar y programar el futuro con personas de más de sesenta años. Estas pueden mantener las brasas de un fuego que pervive, pero difícilmente podrán prender un fuego nuevo. Aunque puede haber ancianos capaces de soñar el futuro.
3) Siendo conscientes de esta realidad, la esperanza de futuro para nuestros institutos está en los co-hermanos africanos, que son los jóvenes de hoy. Como en otro tiempo los europeos fueron enviados a África y eran mayoría en tierra extranjera, ahora los africanos serán enviados a Europa y llegarán a ser mayoría. En este sentido los institutos misioneros deberían cuidar mucho a los misioneros africanos destinados en Europa. Por supuesto, no todos estarán a la altura de la misión que les espera, como pasó con los europeos en África. Pero pienso que ellos son nuestra única esperanza sociológica y que la esperanza en la novedad del Espíritu se encarnará en esta esperanza sociológica. Es posible que ellos nos lleven por donde ninguno de nosotros se atreva a soñar en estos momentos. Pero nos toca confiar en eso. También por ese camino llegarán nuevas vocaciones, que encontrarán en esta presencia africana entre nosotros nuevas motivaciones tanto para el discipulado como para la misión.
(…) Son reflexiones todavía por madurar. Pero las comparto por si provocan alguna reflexión más profunda.
P. Antonio Villarino, mccj
12.- Allargare la ricerca anche alle realtà esterne
Ho letto e riletto l’interessante articolo sugli Istituti Missionari in Europa. Mi pare opportuna una premessa: “amo” i Comboniani! Ho avuto una bellissima esperienza tra il 1970 e 72 vivendo a Firenze la formazione del postulato, avendo come riferimento Padre Baresi e Padre Pasolini.
Ho continuato ad avere rapporti di amicizia e confidenza con alcuni Comboniani che
mi hanno arricchito spiritualmente.
L’articolo è completo e mi appare molto strutturato. Non mi pare opportuno muovere rilievi o critiche. Solo vorrei evidenziare alcuni punti per una più ampia visione.
Mi soffermo sul radicamento dell’Istituto nella Chiesa locale.
Questo è sicuramente uno degli aspetti più importanti e “riparabili”. Ritengo che la “fretta di partire per la missione” ne sia stata la causa. L’ho sperimentato nel periodo del postulato con una rotazione eccessiva dei Padri Responsabili del progetto, con l’arrivo di figure impreparate e con
il desiderio di ripartire al più presto.
Mi permetto suggerire una maggior presenza nella Chiesa locale non facendosi carico della pastorale ma inserendosi come testimoni della missionarietà della Chiesa.
Pertanto, niente assunzione di Parrocchie ma annuncio e possibile strumento per esperienze di missione per Laici e Clero diocesano. La Diocesi Ambrosiana ha esperienze di “Fidei donum” ma che restano poi, al rientro, una parentesi personale.
Occorre pertanto una consapevolezza delle forze impegnate che l’annuncio alla Chiesa locale è missione, occorre una specifica formazione per un’efficace promozione, la convinzione dell’importanza di questo servizio alla comunità (Comboni insegna).
Sono rimasto “poco affascinato” dalle esperienze di attenzione ai migranti residenti e dall’impegno di denuncia per il capitalismo, produzione di armi, ecc. Sono cose giuste e sante; forse è stato il modo. Il risultato è che i Comboniani sono visti come un “movimento di sinistra”, “non fanno più i preti”. Mi permetto di suggerire di rivedere il “modo” di porsi, non la presenza.
Altro aspetto che emerge dallo scritto è che c’è un autentico e faticoso cammino di analisi e studio della situazione. L’analisi è però interna! Per favore, allarghi la ricerca anche alle realtà esterne, potrebbero apportare utili suggerimenti ed aiuti per una visione più ampia ed articolata.
Questa riflessione è opera della mia attività imprenditoriale che sicuramente condiziona la mia visione portandomi a ritenere applicabili “modus operandi” anche a realtà profondamente diverse.
Voglia scusarmi per questa mia supponenza (…). È solo l’amore per l’Istituto che mi porta a questo.
Sergio Castano (sergio@castanobus.it)
13.- Conclusiones e Propuestas
Hace tiempo que non conversamos, como alguna vez lo hacíamos en Roma, y la ocasión esta vez ha sido el entrar en contacto con tu aportación al presente y futuro del instituto.
He leído personalmente, y en comunidad hemos compartido, el artículo sobre “El Futuro de los Institutos Misioneros en Europa”. Mi impresión global es positiva y, como tú mismo dices, provocativa, invitando a ser confrontado con la realidad de cuanto se afirma, pensando sobre todo al futuro de la presencia comboniana en Europa.
Naturalmente, es tan amplio el abanico de datos, intuiciones, propuestas que merecería algún tipo de reflexión comunitaria a niveles diversos y complementarios seriamente llevada a cabo. No sé cuál habrá sido la acogida por parte de las altas esferas de gobierno y de reflexión. No sé tampoco si se habrá pensado que en desarrollo del Capítulo al menos hubiese una presentación del contenido que pudiese suponer como un nuevo foco para tratar de intuir por dónde podrían ir las previsiones de cara al futuro. La parte que a mí más me ha provocado es el apartado que se presenta al final de tu análisis: CONCLUSIONES Y PROPUESTAS…
El Espíritu nos siga motivando por dentro a colaborar al bien y futuro del Instituto.
P. Angel Lafita, mccj
14.- Chiave di lettura fondamentale
Ho letto con vivissimo interesse il lavoro su “Istituti Missionari in Europa: che futuro?
Mi viene subito da fare un commento su ciò che ritengo la chiave di lettura fondamentale di tutta la riflessione e cioè sulla spiritualità. Lo faccio in maniera molto sintetica toccando due aspetti: uno generico, l’altro più specificamente comboniano
- Perché la Spiritualità come tema di riflessione?
- Una spiritualità che guarisce e umanizza: elemento fondante della nostra vocazione missionaria.
Sono terribilmente tentato di passare subito alle altre tematiche consequenziali ed essenziali nella riflessione del testo, ma mi fermo qui per intanto.
P. Danillo Castello, mccj
Allegato 1: PERCHE’ LA SPIRITUALITA’?
Come tema di riflessione
- A partire dal CAPITOLO – Nella riconfigurazione dell’Istituto postulata dal Capitolo la Spiritualità occupa un posto centrale…. “Sentiamo il profondo bisogno di una Spiritualità che ci guarisca e umanizzi, capace di integrare la propria e altrui umanità con i suoi limiti, fragilità e incoerenze. Una Spiritualità’ basata sulla Parola di Dio ascoltata, vissuta celebrata e annunciata, e che tocchi e ispiri tutte le dimensioni della nostra vita missionaria in ambito personale… e di missione (A.C. n.30). Queste parole fanno risuonare dentro di noi la visione e la mistica del Fondatore….E’ un invito ad attingere all’esperienza personale di questo ricercatore della Missione nel suo modo particolare di vivere la sequela di Cristo. “Daniele Comboni cerca per i membri del suo Istituto un’alta qualità di vita spirituale e apostolica e un senso di dedizione totale all’evangelizzazione della Nigrizia.” (Manuel Augusto.)
- Spiritualità debole – si avverte da tempo la necessità di un risveglio –
- Il lavoro sulla “Ratio Missionis” che dal 2003 ci ha tenuti occupati come Istituto per parecchi anni è arrivato a queste conclusioni: “la nostra spiritualità,… è vissuta debolmente lasciando spazi a forme di vita caratterizzate da individualismo, poca comunione, debole identità comunitaria e di incerta appartenenza all’istituto”.
- Lettera del P. Generale, P. Enrique alla PI, Aprile 2013, al termine della visita alla Provincia: “Ho visto che nelle comunità si prega, che ci sono degli orari prefissati per gli incontri e che c’è uno sforzo per essere fedeli. Ma la spiritualità che ci muove, che da senso a quello che facciamo, che ci sostiene nei momenti in cui non ce la facciamo con le nostre forze, questa, non sempre l’ho sentita al centro dei nostri dialoghi. Mi son chiesto passando in qualche comunità quanto sia profonda la nostra spiritualità, quanto la Parola di Dio sia il nostro referente, soprattutto quando dobbiamo fare delle scelte, quando organizziamo la nostra vita, quando cerchiamo di costruire insieme il progetto di missione che portiamo nel cuore? Ricordando i dialoghi personali che ho avuto con alcuni di voi, mi veniva in mente molto spesso la parola autoreferenzialità, che oggi sembra essere particolarmente attuale. L’autoreferenzialità’ è manifestazione chiara, della mancanza di un’esperienza forte di vita spirituale, che si traduce in atteggiamenti individualistici e in difficoltà a vivere rapporti sereni all’interno di una comunità. Qualcuno di voi mi diceva che ancor oggi nella provincia, c’è un “esperienza spirituale debole”.
- L’argomento viene ripreso l’anno successivo, nell’Assemblea provinciale da P. Munari. “Anche i Comboniani si devono rinnovare…continuiamo a riprodurre un discorso autoreferenziale dove noi siamo al centro, protagonisti. Il Papa dice che per rinnovarsi bisogna andare al centro della novità che è l’incontro con Cristo. Oso dire che questo sia il nostro grandissimo punto debole.” Un male sottile che ha le sue radici profonde nella nostra natura sempre in cerca di sicurezze di autoaffermazione. È la mondanità spirituale di cui parla il Papa in EG, n. 93.
Veniamo a noi
- C’è qualcosa che ti riguarda in questa impietosa radiografia?
- In seguito alla risposta alla prima domanda quali chiarificazioni ritieni necessarie per un coinvolgimento personale nel processo di riconfigurazione?
- Sei interessato a queste tematiche o ti sembrano lontane dalla tua esperienza di fede?
Letture suggerite:
Esodo 34,29-35: Il suo viso era diventato raggiante, poiché aveva conversato con il Signore
Marco 1,11: “E si sentì una voce dal cielo: “Tu sei il mio figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto”.
Matteo 13, 44-46: “Il regno dei cieli è simile ad un tesoro nascosto…trovata una perla di gran valore…”
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Allegato 2: UNA SPIRITUALITÀ’ CHE GUARISCE E UMANIZZA
Elemento fondante della nostra vocazione missionaria
Queste meditazioni, scritte al sopraggiungere di quel “supplemento di libertà” che la vita provvidenzialmente ti concede, hanno lo scopo di presentare alcuni punti di riferimento di ciò che chiamiamo “spiritualità comboniana”. L’enunciato del progetto richiede qualche spiegazione preliminare, perché la parola spiritualità non e’ chiara, “comboniana , ancor meno”. La parola “spiritualità” e’ imprecisa e stimola al sospetto.
- La spiritualità – Prima di chiederci cos’è’ la “spiritualità comboniana,” vogliamo chiarire brevemente il termine spiritualità. Viene pronunciato con sempre maggior frequenza ma spesso esprime un’idea vaga, indeterminata, imprecisa. Con certezza, una spiritualità può essere definita da tre caratteristiche: un modo di dire Dio, una strada per andare a Dio. una “famiglia spirituale”.
- Un modo di dire Dio – Raccontare come Dio entra nel tessuto dell’esistenza. È un parlare di Dio in termini di esperienza. Gli spirituali parlano di Dio in quanto Egli colpisce la coscienza. Ma parlare di Dio in termini di esperienza è anche un parlare di se’ . (Noverim te…noverim me – S. Agostino). E come parlare di se’ senza mettere in gioco una totalità complessa: corpo e spirito, la relazione con le persone e con le cose, il mondo e la storia? Questa esperienza deve essere confrontata con l’unica rivelazione che Dio ha fatto di sé stesso nella Scrittura ed essere sottoposta alla fede della Chiesa.
- Un cammino per andare a Dio – In secondo luogo una spiritualità propone un cammino per andare a Dio. In questo senso è una pedagogia. Se alcuni uomini e alcune donne hanno descritto la loro esperienza, era evidentemente per trasmetterla. Essi hanno scoperto un cammino e desiderano trasmetterlo. Ne indicano le tappe progressive per coloro che iniziano, per coloro che progrediscono, per quelli che si avvicinano al termine.
- Raduna una famiglia partendo da un’esperienza fondatrice – All’inizio un uomo, una donna, un gruppo ha fatto un ‘esperienza di Dio e desiderano condividerla. Altri fratelli, altre sorelle e compagni si sono uniti a loro. Così sono nate le grandi famiglie spirituali riconosciute ancor oggi.
- La spiritualità comboniana – “Se non si può parlare, a mio avviso, di una spiritualità comboniana nel senso di una nuova e autonoma scuola di spiritualità… si può invece legittimamente parlare di spiritualità comboniana intendendo la spiritualità personale di Comboni che lasciò certo una traccia, più o meno profonda, anche nelle persone che gli furono vicine e con lui collaborarono” (Fulvio de Giorgi in Daniele Comboni fra Africa ed Europa, a cura dello stesso de Giorgi pp.201-202. Questo volume raccoglie gli Atti del Convegno tenutosi a Brescia, diocesi natale di Daniele Comboni il 28 e 29 Novembre 1996, promosso dall’Università Cattolica del Sacro Cuore, dall’Archivio per la storia dell’educazione in Italia, dalla Provincia Italiana dei Missionari Comboniani e dall’Associazione Laici Comboniani).
- La Spiritualita’ personale di Comboni affonda le sue radici nel Veneto cattolico. Due le matrici fondamentali della spiritualità del Comboni e una la caratteristica che diventerà sempre più chiara. Dal Mazza Comboni apprese l’ideale spirituale di una “vera carità unita alla scienza e alla vera pieta’, che non consiste nell’esteriorità’…con echi rosminiani e rimandi filippini (p.202)…” La seconda matrice è quella bertoniana, mediata dal successore del Bertoni (uomo del consiglio) p. Marani” (p.204).
- Lo “spirito comboniano” – “La caratteristica fondamentale della figura del missionario, nella mente del Comboni, è: una sua grande liberta’ spirituale e di vita religiosa senza obblighi e voti, modulata su queste matrici, dove è presente il timbro della spiritualità gesuitica soprattutto con la devozione al S. Cuore e l’orientamento decisivo sulla fiducia e confidenza in Dio. l due assi portanti: una forte pietà interiore, in spirito di sacrificio e umiltà, e una capacità creativa di adattamento continuo, perseguito in piena autonomia a circostanze e ambienti, così differenti e variabili” (F. De Giorgi, Le dimensioni dell’incontro: cultura e spiritualità in Comboni p. 215). La prefazione delle Regole del 1871 esordiva infatti in questo modo: “Le Regole di un Istituto che dee formare apostoli per nazioni …infedeli, perché sieno durevoli, debbono basare sopra principi generali. Se fossero molto minute, ben presto, o la necessità o una tal vaghezza di mutazione muterebbe il fondamento del loro edificio e potrebbero riuscire giogo aspro e peso grave per chi le deve osservare”. La spiritualità aveva pertanto nell’Istituto un ruolo centrale fondamentale e costitutivo.
- Riflessione personale: – In che misura il processo di personalizzazione della fede in Comboni può essere sorgente di ispirazione per me?
- Letture suggerite
- Giobbe 42,1-6: “Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono”.
- Atti 9,1-18 – La vocazione di Saulo: icona di ogni spiritualità missionaria, la caratteristica che diventerà sempre più dominante nella spiritualità del Comboni. Le radici della sua spiritualità personale sono nel cuore di Ignazio.
Attingere al nostro patrimonio spirituale
La domanda che questa riflessione sugli “Istituti Missionari in Europa: che futuro”?
poni è una domanda ineludibile, che viene avvertita da tempo ed è bene metterla a fuoco nel momento che stiamo vivendo. Speriamo che serva ad aiutarci a “sognare”, ma con i piedi per terra, partendo dal fatto che è impensabile poter risolvere le problematiche umane attuali, supponendo nei giovani di oggi e anche nei meno giovani una solida vita spirituale, un’esperienza personale di incontro con il Signore Gesù, che è l’unico che sa colmare il livello di vuoto raggiunto nella società secolarizzata e nella vita dei nostri giovani.
Aggiungo qualche considerazione, che si riferisce all’esaurimento del carisma, alla sua origine e al suo sviluppo nella storia. Non si tratta di teorie, ma costatazioni e di convinzioni nate in me dalla esperienza nell’attività che ho svolto per molti anni.
In questa situazione di “Esaurimento carismatico”, la Provvidenza certamente ci verrà incontro, come è avvenuto in passato in situazioni altrettanto cruciali, come si ricorda nel testo; ma non possiamo dimenticare che ciò avverrà se siamo vigili e tutti insieme facciamo la nostra parte. Per questo la iniziativa di promuovere la riflessione sul futuro dell’Istituto in Europa è più che opportuna.
Da parte mia è da tempo che vado riflettendo su aspetti attinenti a questo problema, stimolato dalla mia attività nel campo della formazione. Cercherò di condividere le mie perplessità dalle quali emergono anche dei suggerimenti… Le mie riflessioni si aggirano intorno all’ambito della formazione, che è quello che mi ha impegnato di più.
Sono convinto che un nuovo inizio nel campo della promozione vocazionale e della formazione produrrà frutti se, ben radicati nel presente (RV 16), sapremo attingere alle nostre origini e al “patrimonio spirituale del nostro Istituto” (RV 1.4), evitando la tentazione della fuga in avanti sotto la spinta della ministerialità sociale, che se non è bene integrata nel dinamismo della nostra vita di consacrazione per la missione, ci allontana dalla Sorgente e dalle radici (RV 2-5).
Oltre all’invito di Papa Francesco in “Fratelli tutti” “a guardare alla storia per far luce sul presente”, credo che ci farà molto bene meditare il discorso che lo stesso Papa Francesco ha fatto ai nostri Capitolari del 2015, in cui ci invita a riscoprire il nostro “grande patrimonio di spiritualità e attività missionaria”.
P. Carmelo Casile, mccj