di Alberto Parise

Il magistero della Chiesa mette in risalto il fatto che l’evangelizzazione ha intrinsecamente una dimensione sociale: “evangelizzare è rendere presente nel mondo il Regno di Dio”, ci ricorda papa Francesco (Evangelii gaudium 176). Se manca questo aspetto, il pericolo è di sfigurare il significato autentico e integrale della missione evangelizzatrice. Invece, nella misura in cui il Signore regna tra di noi, la vita sociale sarà spazio di fraternità, giustizia, pace, dignità per tutti e vita piena per tutta la creazione. Il Regno di Dio riguarda ogni persona umana e tutta la persona, nell’integralità di tutte le sue dimensioni (Populorum progressio 14). C’è dunque un triplice legame tra promozione umana – sviluppo e liberazione – ed evangelizzazione (Evangelii nutiandi 31):
= antropologico: in quanto la realtà umana comprende anche la realtà socio-economica, culturale, e ambientale;
= teologico: perché non si può separare il piano della creazione da quello della redenzione, che richiede di superare anche le strutture di peccato (cf. Sollicitudo rei socialis 37) e la giustizia sociale e ambientale:
= evangelico: cioè la carità, il comandamento dell’amore verso tutti e tutto il creato, che si esprime in giustizia, pace, fraternità.
Del resto, già nel 1971 il Sinodo dei vescovi aveva dichiarato che “l’agire per la giustizia ed il partecipare alla trasformazione del mondo ci appaiono chiaramente come dimensione costitutiva della predicazione del Vangelo, cioè della missione della chiesa per la redenzione del genere umano e la liberazione da ogni stato di cose oppressivo” (Giustizia nel mondo 6).
Papa Francesco riprende e rilancia tutto questo magistero della Chiesa e sottolinea come la fede autentica – che non è mai comoda e individualista – generi il desiderio di profondo di cambiare il mondo e di lasciare qualcosa di migliore dopo il proprio passaggio sulla terra e che amiamo questo magnifico pianeta dove Dio ci ha posto, e amiamo l’umanità che lo abita, con tutti i suoi drammi e le sue stanchezze, con i suoi aneliti e le sue speranze, con i suoi valori e le sue fragilità. La terra è la nostra casa comune e tutti siamo fratelli. Sebbene «il giusto ordine della società e dello Stato sia il compito principale della politica», la Chiesa «non può né deve rimanere ai margini della lotta per la giustizia». Tutti i cristiani, anche i Pastori, sono chiamati a preoccuparsi della costruzione di un mondo migliore. Di questo si tratta, perché il pensiero sociale della Chiesa è in primo luogo positivo e propositivo, orienta un’azione trasformatrice, e in questo senso non cessa di essere un segno di speranza che sgorga dal cuore pieno d’amore di Gesù Cristo. (EG 183).
Guidata da questo amore, la Chiesa si mette in ascolto del grido dei popoli e della terra. I segni dei tempi che caratterizzano questo momento storico mostrano un cambiamento epocale, in quanto sistemico. Nonostante le nuove grandi potenzialità, il mondo si sta muovendo verso una sempre maggiore insostenibilità. La gente lo sperimenta attraverso una quotidiana precarietà, lo spegnimento della gioia di vivere, il sopravvento di paura e disperazione, in una lotta per vivere, spesso senza dignità. Riscaldamento globale, cambiamenti climatici, distruzione di foreste, ecosistemi e biodiversità, sono solo alcuni aspetti del grido della terra che denuncia l’insostenibilità del predominante modello di sviluppo produzione e consumo.
Nella Laudato si’, Francesco sottolinea la triplice dimensione dell’insostenibilità: non soltanto ecologica, ma allo stesso tempo anche sociale ed economica. I tre aspetti sono collegati. Devastazione ambientale ed impoverimento, esclusione sociale, sono due facce della stessa medaglia: “non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale” (LS 139). Cresce la consapevolezza che tutto è interconnesso, come insegnano anche le cosmo-visioni e spiritualità dei popoli amazzonici, africani e asiatici.
Alla radice di tutto questo c’è un’economia che uccide, che genera esclusione ed “inequità”, un neologismo che suggerisce tanto l’idea di disuguaglianza che di ingiustizia. Conseguenze, invece, sono la violenza e lo scardinamento delle basi di qualsiasi sistema politico e sociale. Sfruttamento e marginalizzazione sono realtà già viste nella storia; ma nel sistema socio-economico odierno l’inedito è l’esclusione, cioè il fatto che una crescente parte della popolazione mondiale non è più “utile” nemmeno per essere sfruttata, ma soltanto un avanzo, un rifiuto.
Come già Benedetto XVI aveva evidenziato nella Caritas in veritate, Francesco spiega che dietro a questo paradigma economico c’è una crisi antropologica: la visione dell’essere umano ridotto alla dimensione del consumo, l’homo oeconomicus che cerca sempre di ottenere il massimo vantaggio per se stesso, i propri obiettivi utilitaristi.
Assieme a questo assunto troviamo poi vari riduzionismi economicisti, veri e propri miti del nostro tempo: dal postulato economico della massimizzazione dei profitti all’assunto della crescita illimitata; dall’autonomia assoluta dei mercati (deregulation) alla loro supposta autoregolazione (cioè: concentrati sul tuo interesse personale e una “mano invisibile” riporterà l’equilibrio, il bilanciamento del sistema); dalla “ricaduta favorevole” (cioè che ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce di per sé a produrre una maggiore equità e inclusione sociale) alla criminalizzazione della povertà, incolpando i poveri dei loro mali e fronteggiandoli con le armi e la repressione violenta.
Una simile società, per poter sostenere uno stile di vita che esclude gli altri, sviluppa una globalizzazione dell’indifferenza, che rende sordi al grido di dolore degli altri e della Terra. Mancano le condizioni per uno sviluppo sostenibile e pacifico, che sostenga il “vivere bene” di tutti.
Di fronte a questa complessa crisi epocale, la Chiesa ha discreto il cammino dell’ecologia integrale, che parte da una visione della realtà come ecosistema, una complessità di legami e interazioni di aspetti correlati di un tutto che è la vita, per cui giustizia sociale, economia, ambiente, cultura, stile di vita e spiritualità sono interdipendenti.
La Laudato sì’ sottolinea anche che non si tratta di due crisi epocali separate, quella sociale e quella ambientale, ma di una sola e complessa crisi socio-ambientale, che oramai ha raggiunto livelli vicini al punto di non ritorno: se non si inverte subito la traiettoria, il danno socio-ambientale sarà irreversibile.
L’enciclica rileva l’urgenza di una trasformazione sociale, cioè di un cambiamento sistemico che coinvolga tanto strutture socio-economiche quanto quelle di pensiero, della mentalità corrente. Serve un cambiamento di mentalità, del modo di pensare, cioè uno sguardo diverso sulla realtà che superi la riduzione dell’economia alla massimizzazione del profitto, della persona umana alla dimensione del consumo, dei rapporti umani alla strumentalità della ricerca dell’interesse individuale. Come hanno sostenuto a più riprese tanto Benedetto XVI che Francesco, la grande crisi del nostro tempo ha origine in una visione impoverita dell’umanità, che ha perso il senso del significato profondo dell’umanità e della vita. Così oggi la logica scientifico-tecnologica, unita alla finanza, tende a vedere nei problemi che sta causando un’ulteriore opportunità di profitto attraverso soluzioni che però, di solito, creano nuovi problemi, mancando la percezione delle molteplici relazioni tra le cose (LS 20). Per uscire dalla spirale di autodistruzione, è necessario un dialogo inclusivo, capace di integrare le prospettive tecnico-scientifiche con quelle sociali, economiche ed etico-religiose per dar vita a nuove strutture socio-economiche e nuovi stili di vita, inclusivi, egualitari, solidali, sostenibili e responsabili verso la nostra casa comune.
Il processo del sinodo per l’Amazzonia ci mostra un percorso concreto per una trasformazione sociale nella linea dell’ecologia integrale, che richiede un cambiamento sistemico, ben altra cosa rispetto all’inserimento di considerazioni ecologiche superficiali. È un percorso paradigmatico, che comincia con l’ascolto del “grido della Terra” e dei popoli indigeni, che svelano le contraddizioni e insostenibilità del sistema oggi predominante; come anche della loro visione e sapienza ancestrale, discernendo la presenza di Dio incarnata e attiva in questi popoli. La Chiesa, in particolare, è chiamata ad una testimonianza profetica al loro fianco: di denuncia delle strutture e sistemi ingiusti e insostenibili, nel caso specifico sostenuti da nuove potenze colonizzatrici che minacciano la regione Amazzonica. E poi anche, attraverso il dialogo, interculturale e pentecostale (cioè nello Spirito), di stimolare, accompagnare e sostenere l’emergere di alternative di sviluppo ecologico integrale costruite con le comunità sul territorio, combinando saggezza ancestrale, conoscenze tradizionali e scientifiche.
Per un simile percorso – ha affermato il Sinodo – la Chiesa deve però effettuare una conversione integrale. Infatti, il principio ispiratore per il cambiamento sistemico e per la conversione del cuore e della visione – suggerisce papa Francesco – è di comprendere e convincersi che tutto nel mondo è interconnesso. Ciò richiede anzitutto una conversione culturale, lo sviluppo della capacità di andare incontro all’altro, al diverso, su un piano di parità, riconoscendone, rispettandone e promuovendone l’identità. Solo così ci si apre alle scoperta dei semi del Verbo in loro e nella loro realtà socio-culturale. Sul piano culturale, serve anche la costruzione collettiva di processi educativi che abbiano nella forma e contenuto l’identità culturale delle comunità indigene e l’interculturalità.
La dimensione ecologica della conversione si riscontra tanto nella crescita di una nuova consapevolezza, imparando dai popoli originari in un dialogo di conoscenze, quanto nell’assunzione di stili di vita e cicli produttivi equi e sostenibili, nell’avviamento di osservatori socio-ambientali e di ministeri ecclesiali per la cura della casa comune, con riferimento al modo in cui i popoli indigeni si relazionano con il loro territorio e lo proteggono. Quindi emerge anche la dimensione pastorale della conversione, che comincia con il fare causa comune con i popoli dell’Amazzonia, con i gruppi emarginati ed esclusi, e si concretizza attraverso ministeri specifici, per un accompagnamento contestuale, in dialogo ecumenico, interreligioso e culturale.
Al giorno d’oggi, con la mobilità indotta dai processi di globalizzazione, la realtà è multi-etnica, multiculturale e multi-religiosa, e la transizione ecologica, a livello locale e internazionale, sarà possibile solo con un coinvolgimento di tutti. Ci vuole allora la capacità di camminare assieme e qui l’assemblea speciale per l’Amazzonia ha messo l’accento sull’aspetto della conversione sinodale a cui la Chiesa è chiamata. Questo significa camminare assieme sotto la guida dello Spirito, per individuare il cammino da seguire al servizio del disegni di Dio, con un percorso di ascolto reciproco, dialogo, discernimento partecipato, decisioni condivise. La sinodalità si caratterizza per il rispetto della dignità e uguaglianza di ciascuno, la complementarietà dei carismi e dei ministeri, gli organismi di comunione, la partecipazione e la corresponsabilità. In particolare, il Sinodo ha riflettuto sui ministeri e la leadership delle donne nelle realtà ecclesiali, riconoscendone un potenziale ancora da accogliere pienamente.
Il rischio che corriamo è di relegare tutto questo a qualcosa “per” l’Amazzonia, senza sentirne l’importanza e l’urgenza per noi che viviamo altrove. Eppure l’ispirazione e i percorsi concreti che emergono dal Sinodo ci riguardano da molto vicino, sia considerando il nostro legame a livello globale con l’Amazzonia, sia nella nostra stessa dimensione locale, pur molto diversa e particolare.
A livello globale, infatti, partecipiamo tanto delle cause della distruzione dell’Amazzonia, quanto delle sue conseguenze. Siamo parte di quello stesso sistema socio-economico mondiale che è all’origine del problema, attraverso le emissioni gas serra e CO2 legate al nostro ciclo produttivo e di consumo e al nostro stile di vita. Ma siamo anche toccati da vicino dagli effetti dei cambiamenti climatici, come i fenomeni estremi degli ultimi anni ci ricordano continuamente. Siamo, perciò, chiamati a contribuire al suo cambiamento, attraverso una transizione ecologica che, per avvenire, deve essere globale, cioè dobbiamo anche noi esserne parte.
Il processo di globalizzazione, inoltre, tende a creare situazioni affini in molte parti del mondo. Oggi, ad esempio, anche in Italia, a livello locale cominciamo a sperimentare una realtà multi-etnica, plurale, incontriamo espressioni di popoli e cosmovisioni molto diverse dalla nostra. Come il Sinodo ha sottolineato, abbiamo bisogno di tutti, di un dialogo aperto che ci porti a prendere coscienza di alcuni limiti intrinseci del nostro modo di pensare e vivere e ad imparare da apparati conoscitivi e prospettive più olistiche, per costruire assieme un mondo sostenibile e più fraterno.

L’ECOLOGIA INTEGRALE E LA MISTICA COMBONIANA

Vivere la missione oggi significa anche coinvolgersi nella sfida globale del nostro tempo, per annunciare il Regno che viene ed accoglierlo: questo è il senso cristiano dell’ecologia integrale. La Laudato si’, inoltre, spiega che “la sfida urgente di proteggere la nostra casa comune comprende la preoccupazione di unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale, poiché sappiamo che le cose possono cambiare. […] L’umanità ha ancora la capacità di collaborare costruire la nostra casa comune» (LS 13). Il primo passo per affrontare la «sola e complessa crisi socio-ambientale» (LS, n. 139) è dunque per papa Francesco la costruzione di un soggetto collettivo – la famiglia umana unita – che si assuma il compito comune di cercare soluzioni e metterle in atto. Riecheggia qui la visione della Chiesa del Concilio Vaticano II, che la vede come popolo di Dio, “sacramento, ossia il segno e lo strumento, dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (LG 1).
Già nell’EG Francesco aveva affermato che per costruire il bene comune e la pace sociale non è sufficiente l’essere fedeli cittadini e partecipare alla vita politica; bisogna diventare “popolo”, che è un qualcosa di più, e “richiede un costante processo nel quale ogni nuova generazione si vede coinvolta. È un lavoro lento ed arduo che esige di volersi integrare e di imparare a farlo, fino a sviluppare una cultura dell’incontro in una pluriforme armonia” (EG 220).
Non è un cammino facile, ma ci sono quattro principi che ci guidano nel processo trasformazione in un popolo in cui le differenze si armonizzino all’interno di un progetto comune. Si tratta infatti di criteri a cui riferirsi per dare attuazione ai «grandi postulati» della dottrina sociale della Chiesa: dignità della persona umana, bene comune, sussidiarietà e solidarietà. I quattro principi sono:

1. Il tempo è superiore allo spazio (EG 222-225)

Il concetto si riferisce al fatto che i processi di trasformazione sono prioritari rispetto ai risultati immediati e all’occupare spazi di potere, di controllo. Dare la precedenza allo “spazio” significherebbe cercare di fare la quadratura del cerchio nel presente, trovare una sistemazione omnicomprensiva che risolva tutti i problemi subito. Invece, la priorità del tempo fa riferimento alla pienezza come un orizzonte da raggiungere e il presente è espressione del limite che si vive in uno spazio circoscritto. Allora, spiega Francesco, “questo principio permette di lavorare a lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati. Aiuta a sopportare con pazienza situazioni difficile e avverse, o i cambiamenti dei piani che il dinamismo della realtà impone. È un invito ad assumere la tensione tra la pienezza e il limite, assegnando la priorità al tempo” (EG 223). Ciò significa impegnarsi nel dialogo, in processi aperti, i cui esiti non sono già dati all’inizio, ascoltando e rispettando saperi e prospettive diverse. La scommessa è che questo investimento sul attraverso il dialogo, la condivisione e la collaborazione, cresca anche il progetto di costruire un popolo e unire la famiglia umana.

2. L’unità prevale sul conflitto (EG 226-230)

Questo principio invita alla ricerca della comunione al di là delle differenze, che generano inevitabilmente conflitti. Anzi, il conflitto stesso rappresenta un passaggio inevitabile nel cammino di costruzione della comunione e dunque non va ignorato o dissimulato. Ma se ci si ferma alla congiuntura conflittuale, si perde il senso dell’unità profonda della realtà, dell’interdipendenza di tutte le cose. Serve invece un processo che permetta di affrontare, risolvere e trasformare il conflitto, raggiungendo una comunione nelle differenze: ciò è possibile quando si ha il coraggio di andare oltre in conflitto e si considerano gli altri nella loro dignità più profonda, inalienabile. Si tratta di arrivare ad una “risoluzione su di un piano superiore che conserva in sé le preziose potenzialità delle polarità in contrasto” (EG 228).

3. La realtà è più importante dell’idea (EG 231-233)

Una terza polarizzazione di cui facciamo esperienza è quella tra la concretezza della realtà e il mondo delle idee. Da un lato bisogna evitare che l’idea si separi dalla realtà, diventando ideologia, teoria astratta, o anche semplicemente idealizzazione. Il principio di realtà ha dunque la priorità. Dall’altro abbiamo bisogno anche di comprendere la realtà ed è qui che entrano in gioco il ragionamento, l’analisi, le idee che la illuminano, la rendono intelligibile e che portano un potenziale di attivazione per trasformarla.

4. Il tutto è superiore alla parte (EG 234-237)

Questo principio è di fondamentale importanza per capire l’approccio pastorale di Francesco, che spiega che “il tutto è più della parte, ed è anche più della loro semplice somma. Dunque, non si dev’essere troppo ossessionati da questioni limitate e particolari. Bisogna sempre allargare lo sguardo per riconoscere un bene più grande che porterà benefici a tutti noi” (EG 235). Questo però non significa rinunciare alle proprie peculiarità o identità, ma aprirsi a nuovi stimoli per il proprio sviluppo, integrandosi cordialmente in una comunità. La superiorità del tutto, che è interconnesso ed armonico, non assorbe la particolarità delle parti. Francesco rende questa idea con l’immagine del poliedro, che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità. Sia l’azione pastorale sia l’azione politica cercano di raccogliere i tale poliedro il meglio di ciascuno. Lì sono inseriti i poveri, i loro progetti e le loro proprie potenzialità. Persino le persone che possono essere criticate per i loro errori, hanno qualcosa da apportare che non deve andare perduto. È l’unione dei popoli, che, nell’ordine universale, conservano la loro peculiarità; è la totalità delle persone in una società che cerca un bene comune che veramente incorpora tutti”. (EG 236).
Dal punto di vista della prassi di trasformazione sociale, questo principio risuona anche nella massima “pensa globalmente ed agisci localmente”. Si lavora nel piccolo, con ciò che à vicino, però con una prospettiva più ampia. Il cammino verso l’unità di tutto il genere umano resta comunque una sfida enorme, che nel contributo comboniano alla missione è sostenuta da una mistica carismatica, che possiamo descrivere in cinque punti:

RIGENERAZIONE E PROTAGONISMO DEGLI ESCLUSI: promessa ed esperienza.

L’esperienza di rigenerazione è un dono che riempie di gioia in modo speciale i discepoli-missionari comboniani; c’è un aspetto carismatico in questa dinamica. E’ l’esperienza del Regno che viene, del rinascere come nuova umanità riconciliata con Dio, con la terra, con gli altri: è la gioia del missionario! La rigenerazione viene dallo Spirito di Cristo e passa attraverso il protagonismo degli esclusi, come anche Comboni ha sentito nella rigenerazione dell’Africa con l’Africa. È interessante notare che questa idea di rigenerazione, che in Comboni ha indubbiamente un orizzonte escatologico, al suo tempo aveva anche una forte valenza socio-politica: è fondamentalmente un’idea di Giuseppe Mazzini, che XIX secolo pensava alla rinascita del popolo italiano come soggetto della propria storia, della propria liberazione e della costruzione di una nuova società. Il cammino verso la costituzione di un popolo che costruisce un mondo più giusto, fraterno e sostenibile, è illuminato e sostenuto da questo mistero di Cristo, che in sé riconcilia tutte le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli (Col 1, 20).

OPERARE NEL DISCERNIMENTO

Attraverso il discernimento personale e comunitario, il discepolo missionario, illuminato dalla fede, si educa ad articolare la realtà degli/delle impoveriti/e che vede e la Parola di Dio che ascolta (AC 2009 n.34). Questo è possibile nella misura in cui il/la missionario/a accetta la serietà dell’incarnazione, prima di tutto come dono da parte di Dio, ma anche come sfida per il suo impegno di presenza e di solidarietà tra gli/le impoveriti/e. Le comunità inserite in ambienti impoveriti e nelle periferie esistenziali sono un modo per annunciare il Vangelo efficacemente.
Serve un discernimento costante per scoprire la presenza e l’azione dello Spirito nella storia – “l’ora di Dio” – e per accoglierla ed assecondarla. Un discernimento spirituale che si avvale anche di conoscenze e strumenti di analisi per penetrare la realtà, comprenderla non soltanto aneddoticamente, ma pure dal punto di vista sistemico, per denunciare l’ingiustizia sociale e il peccato strutturale. È l’approccio profetico di denuncia ed annuncio.
Attraverso la propria testimonianza di vita, è importante dire e ri-dire continuamente, a coloro che esercitano il potere, a livello locale e globale, tutta la Verità sulla salvaguardia della casa comune, sulla vita, sull’organizzazione della vita pubblica, sulla redistribuzione della ricchezza, sul diritto alla casa, al lavoro, all’educazione, al tempo libero, alla libertà di coscienza e alla libertà di professare la propria fede.
In sintesi, il discernimento – come sottolinea il documento conclusivo della Ratio Missionis – diventa lettura sapienziale e profetica della realtà per scrutarla e scorgere in essa i segni dei tempi e dei luoghi (Gaudium et spes 4 e 11), i kairoi, cioè quei segni positivi, quei germi di vita che stimolano il cambiamento del sistema. La trasformazione della realtà secondo il progetto di Dio, rivelato nella creazione e rinnovato dal Suo Figlio Gesù Cristo, attraverso il mistero pasquale di passione, morte e Resurrezione.

ACCOGLIERE IL MISTERO DELLA CROCE

La trasformazione sociale nella direzione del Regno richiede fede, perché spesso all’apparenza ciò che vediamo accadere nel mondo sembra proprio attestare tutt’altro. Passiamo, assieme agli esclusi ed escluse, attraverso esperienze che possono mettere a dura prova la speranza. Eppure, anche di fronte alle più grandi contraddizioni e agli sviluppi più negativi, Comboni ha sempre avuto fiducia nel piano di Dio, anche se non poteva comprenderlo. Certamente, il tenere gli occhi sempre fissi in Gesù, in un profondo atteggiamento contemplativo, lo ha portato a fare esperienza del Regno che viene attraverso il mistero della croce. Sentiva che il senso di ciò che viveva andava al di là degli esiti scoraggianti che vedeva e che, come “pietra sotterra”, probabilmente non avrebbe mai visto dei risultati secondo la speranza che lo animava. Si era convinto che ciò che veramente contava nel suo ministero era la fedeltà al sogno di Dio, non il successo secondo aspettative personali. Si sentiva parte di una realtà molto più grande di lui, di un movimento nello Spirito che porta la vita, la pienezza di vita, attraverso un amore oblativo e incondizionato, che si dona senza riserve, e che proprio nel mistero della croce si rivela in tutta la sua radicalità.

DEDICARSI AL MINISTERO COLLABORATIVO

È l’esperienza comunitaria e ministeriale che aiuta le persone a disintossicarsi dall’apologia dell’io, dall’autoreferenzialità, e ad avere nuovi sguardi su se stessi e sulla realtà. È il luogo dove la responsabilità non coincide con la padronanza ma con la testimonianza, dove il nostro parlare è propositivo e non definitivo.
Comboni stesso ha fortemente insistito su questa dimensione, che pensava in modo alquanto articolato. A livello locale, le comunità dovevano essere come “piccoli cenacoli di apostoli”, cioè luoghi di comunione attorno alla presenza di Gesù, da cui irradiarsi come Chiesa in uscita, che evangelizza come comunità. Ma poi anche a scala più grande, la missione di Rigenerazione era talmente vasta che aveva senso solo approcciarla universalmente, portando assieme tutte le forze, nel rispetto delle differenze e carismi. Quando poi Comboni insisteva che la missione doveva essere universale, e non “nazionale”, faceva una dichiarazione politica di indipendenza dai sistemi coloniali. La collaborazione, la partecipazione e l’inclusione di tutti, come vediamo nel Piano, non ha soltanto una validità funzionale viste le scarse risorse a disposizione; ma è soprattutto una strategia evangelica, per superare logiche contrarie a quella del Regno.

UNA CASSETTA DEGLI ATTREZZI PER LA MISSIONE COMBONIANA

L’esortazione apostolica Evangelii gaudium (EG) invita la chiesa ad una nuova evangelizzazione e spiega come questa sia nuova in quanto frutto di un rinnovamento ecclesiale e pastorale. Due dimensioni, queste, che rappresentano le due facce di una stessa medaglia e che sono rese dall’immagine della “Chiesa in uscita”: in stato permanente di missione, necessita di nuovi stili, approcci, linguaggi e strutture come canali adeguati per l’evangelizzazione del mondo attuale. É il modello della chiesa ministeriale, per sua natura missionaria, capace di annunciare e testimoniare il Vangelo con gioia e profezia. Evangelizzare è rendere presente nel mondo il Regno di Dio (EG 176) e l’EG dedica un intero capitolo – il quarto, che è anche il più lungo – alla dimensione sociale dell’evangelizzazione. Non si tratta di un’appendice, o di un corollario dell’evangelizzazione, ma di un suo aspetto costitutivo, che non si può separare dalla dimensione ecclesiale e pastorale (cf. Giustizia nel mondo 6).
Dal punto di vista operativo, un approccio missionario all’evangelizzazione necessita di un percorso ministeriale, che EG 24 riassume in 5 fasi: prendere l’iniziativa (primerear), coinvolgersi, accompagnare, fruttificare, e festeggiare. La bellezza di questo contributo sta nella semplicità, nell’immediatezza e leggerezza del percorso, nel quale ci si riconosce facilmente. Anzi, le stesse esperienze missionarie si possono efficacemente raccontare seguendo questo schema di riferimento, proprio perché facilita la messa a fuoco degli aspetti essenziali di tali vissuti e percorsi ministeriali. Inoltre, la progressione e concatenamento delle 5 fasi fornisce una orientamento metodologico, per cui entrando in una data situazione si sa come orientarsi, da dove cominciare, che percorso seguire e come concludere.
Ma soprattutto, da un lato c’è una marcata assonanza tra queste fasi e le caratteristiche del carisma comboniano, dall’altro per ogni fase possiamo accostare degli strumenti operativi che potenziano la capacità delle equipe ministeriali. Nella tabella qui sotto vengono sintetizzate queste corrispondenze, rimandando ad altra sede i debiti approfondimenti. Dall’articolazione delle competenze e strumenti cruciali per ciascuna fase del processo ministeriale, appare evidente che più che mirare ad un “super” missionario specializzato in tutto si dovranno mettere assieme equipe ministeriali in cui i membri contribuiscano e armonizzino diverse capacità.

1. PRENDERE L’INIZIATIVA

È la voce dello Spirito nel grido degli esclusi, del Creato devastato e delle periferie esistenziali che porta a prendere l’iniziativa. Ciò richiede una spiritualità incarnata e la capacità di mettersi assieme in ascolto della realtà, analizzando la realtà lasciandosi toccare e mettere in discussione. Un ascolto della realtà, che porta non tanto ad una reazione individuale di “pancia”, quanto ad una risposta condivisa di “cuore”: un cuore attento e docile allo Spirito.
1A. NEL CARISMA COMBONIANO
1B. STRUMENTI OPERATIVI
Questo ascolto corrisponde a cogliere “l’ora di Dio” e ad assecondare ciò che lo Spirito sta facendo nella storia (cogliere e rispondere ai segni dei tempi e dei luoghi).
Ascolto in profondità:
a. analisi strutturale;
b. analisi congiunturale;
c. contemplazione.
Discernimento:
a. metodo di discernimento comunitario

2. COINVOLGERSI

Questo aspetto del percorso ministeriale richiede sistematicità e conoscenza delle dinamiche di sviluppo umano integrale. Non basta lo slancio generoso con tanta buona volontà: se non accompagnato da un metodo e atteggiamenti appropriati, finisce facilmente per creare dipendenze ed equivoci anziché processi di liberazione.
2A. NEL CARISMA COMBONIANO
2B. STRUMENTI OPERATIVI
In questo passaggio riscopriamo il senso comboniano del “fare causa comune” con la gente.
Il ciclo pastorale
a. Inserzione
b. Analisi socio-culturale
c. Riflessione teologica
d. Processo di azione – che include: programmazione, formazione, implementazione, monitoraggio e verifica, celebrazione
Non è soltanto uno strumento che ordina ed organizza il ministero sociale, ma è anche una forma mentis ministeriale, che mette in sinergia scienze sociali e spiritualità, visione sistemica e strumenti pratici, competenze professionali e pastorali.

3. ACCOMPAGNARE

Un accompagnamento efficace si avvale di diversi strumenti, anzitutto quelli per facilitare la partecipazione. Al di là delle competenze fondamentali di facilitazione, coscientizzazione, mobilitazione, e organizzazione, ci sono tanti metodi e approcci partecipativi di cui ci si può servire. C’è un ricco patrimonio disponibile, a cui si può attingere, ma in modo critico: infatti non sono le “tecniche” in sé che garantiscono una autentica partecipazione popolare, quanto l’approccio di fondo, gli atteggiamenti, il modo di relazionarsi.
3A. NEL CARISMA COMBONIANO
3B. STRUMENTI OPERATIVI
Coinvolgimento ed accompagnamento vanno assieme. È come dire che la metodologia del ciclo pastorale non è solo una competenza dell’equipe ministeriale, ma un percorso da fare assieme alla comunità, alla gente, vera protagonista del processo di trasformazione – per dirla con Comboni – “dell’Africa con l’Africa”.
= Metodi di:
a. Coscientizzazione
b. Facilitazione della partecipazione
c. Organizzazione di comunità
d. Dialogo interculturale
e. Riconciliazione (con relativa spiritualità)
= Metodologia del ministero collaborativo

4. FRUTTIFICARE

In questo passaggio ritroviamo l’idea centrale del Piano di Comboni: la Rigenerazione. Questa è una chiave di lettura comboniana del portare frutto ministeriale, nella logica del dono e della grazia.
4A. NEL CARISMA COMBONIANO
4B. STRUMENTI OPERATIVI
La Rigenerazione passa attraverso il mistero pasquale, come lo fu per Comboni (cf. “Le opere di Dio nascono ai piedi della croce”).
In relazione al ministero sociale ed ai processi di trasformazione sociale, è utile far riferimento ai quattro principi (EG 217-237) che nel loro insieme ci offrono una guida per portare frutto nel complesso cammino con reti e movimenti popolari:
a. il tempo è superiore allo spazio;
b. l’unità prevale sul conflitto;
c. la realtà è più importante dell’idea;
d. il tutto è superiore alla parte.

5. FESTEGGIARE

Il momento della valutazione ministeriale va valorizzato come occasione di crescita personale e comunitaria nel servizio al Vangelo e al Regno di Dio.
5A. NEL CARISMA COMBONIANO
5B. STRUMENTI OPERATIVI
Una rilettura della storia e della vita alla luce della fede (cf. Piano per la Rigenerazione dell’Africa con l’Africa), unendo Parola e vita.
= Celebrazioni liturgiche
= Giornate della memoria

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